maternita
(ANSA) - Cresce il numero delle dimissioni convalidate dall'Inl perché presentate nei primi tre anni di vita del figlio: nel 2022 sono state 61.391 con un aumento del 17,1% rispetto al 2021. Il fenomeno riguarda soprattutto le donne (72,8% dei provvedimenti ovvero 44.669 dimissioni convalidate) ed è legato strettamente alle difficoltà di conciliazione tra vita e lavoro. Il 63% delle neo mamme infatti mette tra le motivazioni la fatica nel tenere insieme l'impiego e il lavoro di cura a fronte del 7,1% dei padri.
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Per gli uomini la motivazione principale è il passaggio a un'altra azienda (78,9%) ragione invece minoritaria per le donne (24%). La maggior parte dei destinatari delle convalide, pari a 48.768 (il 79,4% del totale), si colloca nella fascia di età tra i 29 e i 44 anni. Come per gli anni precedenti, il maggior numero di provvedimenti si riferisce a lavoratori/lavoratrici con un solo figlio (o in attesa del primo figlio), il 58% del totale . Più modesta si conferma la percentuale - oltre il 32,5% del totale - di genitori con 2 figli e resta contenuta (il 7,5%) quella dei lavoratori/delle lavoratrici con più di 2 figli.
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Ciò conferma - sottolinea l'Inl - che la fascia critica per restare nel mercato del lavoro sia proprio quella immediatamente dopo la maternità. Il 92% delle dimissioni convalidate riguardano la qualifica di impiegato e operaio mentre è limitato il numero di provvedimenti relativi alle qualifiche di quadro e di dirigente. Le dirigenti che lasciano sono in valore assoluto superiori agli uomini (410 contro 326). "Si deduce pertanto - scrive l'Inl - che la qualifica professionale non costituisce un deterrente all'uscita dal mercato del lavoro in condizione di genitorialità".
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In ottica di genere, di tutte le 44.699 convalide riferite a donne, la quota più consistente (il 32%) è legata alla microimpresa. Segue la grande (26,2%), la piccola (22,3%) ed infine la media (15,5%). Di tutte le 16.692 convalide riferite a uomini, la quota più rilevante (35,2%) si colloca invece nella grande impresa, seguita dalla piccola (24,9%), dalla media (20,7%) ed infine dalla microimpresa (17,3%). "La motivazione più ricorrente - spiega l'Inl - permane la difficoltà di conciliare l'occupazione lavorativa con le esigenze di cura della prole, sia per ragioni legate alla disponibilità di servizi di cura che per ragioni di carattere organizzativo riferite al proprio contesto lavorativo: sommando le due specifiche, questa motivazione incide sul totale per il 49,8% (51% nel 2021).
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In particolare, le motivazioni relative alle difficoltà di conciliazione legate alla disponibilità di servizi sono il 32,2%del totale delle causali e riguardano l'assenza di parenti di supporto, l'elevata incidenza dei costi di assistenza al neonato quali asilo nido o baby-sitter e il mancato accoglimento al nido. Le motivazioni concernenti le difficoltà di conciliazione dovute all'organizzazione del lavoro o a scelte datoriali rappresentano oltre il 17,6% del totale delle motivazioni indicate e riguardano condizioni di lavoro particolarmente gravose o difficilmente conciliabili con le esigenze di cura della prole, distanza dal luogo di lavoro, cambiamento della sede di lavoro, orario di lavoro .
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Il 37,5% del totale delle motivazioni è connesso altresì al passaggio ad altra azienda. "Permane una profonda differenza di genere - si legge - nel dato relativo alle motivazioni. La motivazione principale per gli uomini (il 78,9% del totale delle motivazioni addotte dai lavoratori padri ) è legata infatti al passaggio ad altra azienda mentre appare residuale la motivazione inerente alle difficoltà di conciliazione tra lavoro e attività di cura (il 7,1%). Sul totale delle motivazioni indicate dalle lavoratrici madri invece, le difficoltà di conciliazione tra lavoro e funzione di cura pesano per il 63,6% (65,5% nel 2021) mentre solo il 24% fa riferimento a casi di trasferimento ad altra azienda".
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