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    CROCIFISSO, DI NOME E DI FATTO – TUTTE LE DISGRAZIE DI CROCIFISSO DENTELLO CHE A 44 ANNI SCODELLA IL SUO TERZO ROMANZO “TUAMORE”: “FINO ALLA QUINTA ELEMENTARE NON HO PARLATO. LA MIA VITA SOCIALE NON ESISTEVA. MAI UN AMICO, MAI DATO UN PRIMO BACIO, UNA COTTA. A SCUOLA MI CHIAMAVANO “RITARDATO”, “FROCIO”, NON CAPIVANO COS’ERO” – “ORA? VA UN PO’ MEGLIO. CAPODANNO 2000 HO ASPETTATO SOLO LA MEZZANOTTE IN UNA CABINA DELLE FOTO TESSERA E...”


     
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    Teresa Ciabatti per il “Sette - Corriere della Sera”

     

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    Al suo terzo romanzo, Crocifisso Dentello, 44 anni, spiazza e commuove. Tuamore (La nave di Teseo) è un memoir, ma anche un’ammissione di diversità (una diversità che le contiene tutte: la solitudine), un atto di disvelamento o, come lo definisce l’autore stesso «mettere la testa fuori dalla finestra e gridare».

     

    Gridare cosa? Il dolore per la morte della madre. Quel dolore che lui non vuole smettere di sentire perché «i morti muoiono davvero quando nessuno li ricorda più», e dunque mamma Melina non finisce finché ci sarà lui a ricordarla. Dopo una vita vissuta insieme, poiché Crocifisso ha abitato dalla nascita nella stessa casa, coi genitori, mentre il fratello e la sorella crescevano, se ne andavano, mettevano su famiglia.

     

     Lui no, per lui la famiglia è stata solo quella di origine. Tuamore è un libro misurato e insieme spudorato, che supera nuovi limiti dell’indicibile. Straziante, bellissimo, in alcune pagine addirittura insopportabile per chi tanta solitudine non vuole vederla. La solitudine di quel bambino che fino alla quinta elementare non ha parlato.

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    Nessuna parola?

    «Le maestre mi facevano fare le verifiche scritte: banco in corridoio, fronte bagno. L’unico modo per capire se avessi imparato qualcosa».

     

    A casa parlava?

    «Tantissimo».

     

    La sua vita sociale?

    «Non esisteva».

     

    Ovvero?

    «Mai avuto un amico, una ragazza. Mai un primo bacio, una cotta».

     

    Infanzia e adolescenza?

    «Lasciate passare come treni in velocità».

     

    Che faceva?

    «Giocavo a carte con mia madre, guardavo la televisione con lei, le telenovela, C’è posta per te . Nelle giornate di sole lei mi spingeva fuori, non si capacitava di come un bambino non fosse interessato al mondo».

     

    L’impedimento?

    «Timidezza, paura. Ricordo un giorno in un bar coi miei cugini: non sono riuscito ad andare al banco dei gelati a chiedere un ghiacciolo».

     

    Paura di?

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    «Delle prese in giro, a scuola mi chiamavano “ritardato”, “frocio”, non capivano cos’ero. Mi davano spinte per farmi cadere a terra».

     

    Reazione di Melina?

    «Le vietavo di venirmi a prendere proprio perché non vedesse le angherie a cui ero sottoposto, sapevo che l’avrebbero fatta soffrire».

     

    La diversità di Crocifisso?

    «Non partecipavo alle attività sportive, alle partite di pallone. Alle recite - con grande rammarico di mia madre».

     

    Tranne?

    «Una recita: dovevo attraversare a carponi la palestra attaccato a un cartonato a forma di pecora, insomma, nessuno mi vedeva. L’unica a sapere che la pecora fossi io era Melina».

     

    La quale?

    «Al mio passaggio scatta in piedi, e urla: “Meglio un minuto da pecora che cento anni da leone”».

     

    Meglio un minuto da pecora?

    «Per natura io sono mite. Non reagisco alla violenza. I compagni di classe mi buttavano a terra, e io non dicevo niente, il che li incattiviva. La debolezza incattivisce».

     

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    E lo spavento aumenta.

    «Certi giorni chiedevo a mia madre di non andare a scuola, ogni tanto lei me lo concedeva».

     

    Melina la spronava?

    «A quindici anni, un sabato sera, lei e mio padre mi mettono alla porta: “C’è un mondo là fuori”».

     

    Lei?

    «Rimango sul pianerottolo».

     

    Quanto tempo?

    «Qualche ora. Quindi, guardando dallo spioncino, mia madre si accorge che sono ancora lì, non mi sono mosso da lì. Allora apre».

     

    Non aveva suonato il campanello?

    «No».

     

    Oggi?

    «Grazie alla scrittura, ai libri, mi sono un po’ aperto, eppure si continua a vedere che in me c’è qualcosa di strano».

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    Esempio?

    «Se si parla d’infanzia e di adolescenza, io rimango in silenzio. Avendo vissuto poco, non ho niente da raccontare».

     

    In questo libro racconta Melina.

    «Siciliana, emigrata al Nord coi genitori, padre carpentiere, mamma donna delle pulizie. Una volta una signora concede a mia nonna di farsi il bagno nella vasca, peccato che lei, per l’emozione, al posto del bagnoschiuma metta il Vim dei pavimenti. Si fa il bagno nel Vim».

     

    Torniamo a Melina.

    «Lei e mio padre sono cugini di primo grado. Da piccolo io non riuscivo a capire come le mie nonne potessero essere sorelle, non mi entrava in testa».

     

    Un’unica famiglia.

    «Secondo la cultura popolare se due cugini si uniscono viene sangue guasto. Ecco, io mi sentivo sangue guasto».

     

    In che modo?

    «”Questo tuo figlio inetto”, dicevo a mia madre».

     

     

    Tentativi di cambiamento?

    «Siccome vedevo che lei soffriva, crescendo ho iniziato a dire bugie».

     

    Una bugia?

    «Dicevo che mi ero fatto degli amici e dovevo uscire con loro».

     

    Nella realtà?

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    «Passavo qualche ora ai giardinetti, a leggere un libro. Oppure prendevo un treno per Milano Cadorna, scendevo, e riprendevo il treno per Cesano Maderno. Tornavo a casa, e dicevo a mia madre di aver passato una bella giornata».

     

    Reazione?

    «Non so se ci credesse davvero, lì per lì comunque era sollevata. Mi diceva: “Vedi che fuori stai bene?”».

     

    Capodanno 2000?

    «Mia zia fa una festa coi parenti. Per convincere mia madre ad andare, per non essere di peso, dico di avere un veglione».

     

    Invece?

    «Alle 22.30 prendo il treno per Milano Cadorna. Le strade piene di gente in festa. Resto un po’ sulla panchina, poi per non farmi vedere solo, ero l’unico solo, m’infilo nella cabina delle foto tessera: lì faccio arrivare la mezzanotte».

    lo scrittore crocifisso dentello quando era alle elementari lo scrittore crocifisso dentello quando era alle elementari

     

    La vacanza a Cesenatico.

    «Per convincere i miei ad andare in vacanza, dico che anch’io sarei partito con degli amici. Prenoto una pensione a Cesenatico».

     

    Quindi?

    «Passo tre settimane in camera a leggere».

     

    Non esce?

    «Scendo per mangiare. Ma essendo circondato da tavoli di famiglie, e coppie, a un certo punto inizio a non scendere più, salto il pranzo».

     

    Il mare?

    «Mai andato in spiaggia. Se chiamava mia madre, salivo sul terrazzino della pensione, in modo che lei sentisse il vociare della strada e mi credesse in compagnia».

     

    Il mare nell’infanzia?

    «Raramente, e tenevo la maglietta. In alternativa prendevo il sole a pancia sotto, difatti avevo la schiena spesso ustionata. Il bagno non lo facevo, è capitato di sera, con la spiaggia deserta».

     

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    Perché?

    «Essere grasso è stato sempre motivo di vergogna. Anche mia madre era sovrappeso, almeno però lei aveva il senso del limite, io no. Così quando andavamo nei negozi si innervosiva».

     

    Cioè?

    «Magari provavo un maglione che mi andava stretto, e lei si arrabbiava: “Finisci come i santoni indiani, con le tuniche”».

     

    Sempre andato nei negozi con Melina?

    «Da adulto le dicevo: “Accompagnami, che magari i commessi mi fregano”».

     

    Prima volta dopo la morte di Melina?

    «Sono rimasto dentro ore, incapace di decidere quale maglione scegliere».

     

    Pensieri?

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    «Se non avessi avuto proprio lei, quella mamma, come bambino e come adolescente sarei sprofondato in una voragine».

     

    Al contrario?

    «Quanti viaggi in treno e in autobus, attese in posta e dal medico, file al supermercato. Tutto insieme».

     

     

    Il significato di essere insieme?

    «Lei è stata il mio unico interlocutore, il centro affettivo della mia esistenza».

     

    Eppure.

    «Non era una forma di chiusura, io guardavo il mondo coi miei e i suoi occhi sommati. La sua personalità era fondamentale, lei rappresentava ciò che non riuscivo a essere io».

     

    Nel romanzo parla di periodi di «miseria vera».

    «La mia è una famiglia dignitosa, papà muratore e mamma casalinga, domestica. Malgrado questo, abbiamo avuto momenti difficili nei quali l’unica possibilità era l’oratorio, riempire un cedolino per avere lattine di piselli, succhi di frutta, biscotti, vaschette di prosciutto cotto».

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    Lei ha cercato di aiutare?

    «Mi sono venduto i libri. Qualche Pirandello, qualche Calvino».

     

    Rabbia?

    «L’unica rabbia è che proprio adesso che la situazione è migliorata, che avrei potuto dare una vecchiaia serena a mia madre, lei non c’è più».

     

    Un regalo che le avrebbe fatto?

    «Una vacanza in un posto di mare».

     

    Dove?

    «La Spezia, lei amava La Spezia. Per il venticinquesimo anniversario di matrimonio io e mia sorella le abbiamo regalato una settimana a Roma».

     

    2001: Melina si ammala, tumore (prima recidiva nel 2015, seconda nel 2018).

    «Per me è stato difficile vederla diminuita».

     

    Diminuita come?

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    «Nel corpo e nello spirito. Non riusciva a scherzare, la voce flebile, non era più la sua».

     

    Se ne è occupato lei?

    «Lo strazio maggiore è stato il senso di impotenza: potevo darle da bere, da mangiare, sistemarle il cuscino, ma nei momenti in cui lei urlava di dolore, non potevo fare niente».

     

    Prendersi cura della propria madre.

    «Mia mamma era una donna siciliana, all’antica. Prima della malattia non l’avevo mai vista nuda. Farsi lavare da suo figlio per lei è stata una profonda umiliazione. Si mortificava, nonostante io la rassicurassi. Le dicevo: “Mamma, è normale”».

     

    Ma?

    «La malattia umilia il corpo, e umiliando il corpo umilia la dignità».

     

    Il presente di Crocifisso Dentello?

    «Vivo nella stessa casa, con mio padre. Provo grande tenerezza se lo vedo ai fornelli, perché ho sempre visto lei, mia madre».

     

    Suo contributo in casa?

    «Fin da bambino aiutavo mamma nei mestieri. Quando pulivo il bagno, strofinavo, lo facevo per renderla orgogliosa. Oggi, senza di lei, senza il suo sguardo, i gesti domestici hanno meno valore».

     

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    Cosa ha tenuto di Melina?

    «Gli oggetti personali, riposti in una biscottiera».

     

    Quali?

    «Gli occhiali da vista, il cellulare Nokia con lo schermo rigato, la tessera delle Ferrovie del Nord, il biglietto da visita del suo parrucchiere di fiducia, il santino della Madonna di Fatima, la stampa di un prelievo Bancoposta, l’ultima copia della Settimana enigmistica compilata per metà, non ha fatto in tempo. Un foglietto sui cui ha scritto una frase presa non so dove».

     

    La frase?

    «Che cos’è la felicità? Una casa con dentro le persone che ami».

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