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    PUNK IS NOT DEAD – CRONACHE DALL’UNICA DATA ITALIANA DEL TOUR DI JOHN LYDON, CON I SUOI “PUBLIC IMAGE LIMITED” – L’EX JOHNNY ROTTEN DEI SEX PISTOLS APPARE SENZA EFFETTI SPECIALI, CON UNO SPOLVERINO GESSATO E UN PAIO DI VANS NERE. LE UNICHE COSE RIMASTE (QUASI UGUALI) AI VECCHI TEMPI SONO LA CRESTA, LA VOCE URLANTE E LO SPIRITO ICONOCLASTA – GLI SCAZZI CON IL PUBBLICO: “QUESTA È UN’ESPERIENZA REALE, NOI SIAMO PERSONE REALI. COSA FILMATE?! NON SONO LA FOTTUTA BRITNEY SPEARS. FUCK YOU!” - VIDEO


     
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    Estratto dell’articolo di Luca Valtorta per www.repubblica.it

     

    concerto di john lydon e i public image limited ai magazzini generali di milano 4 concerto di john lydon e i public image limited ai magazzini generali di milano 4

    L’entrata non ha niente di scenografico: John Lydon, ex Johnny Rotten, semplicemente appare. Non ci sono effetti speciali né rulli di tamburi: è come se volesse demistificare il mito di se stesso. I Magazzini Generali di Milano, l’unica data italiana del suo tour, sono sold out da tempo.

     

    Il pubblico ha dell’incredibile: è la rappresentazione di come il punk […] non solo non fosse mai morto ma avesse deciso di sfidare ancora una volta tutte le regole. In primis, quella che vorrebbe la rockstar sempre giovane e bella. E così, […] ecco l’uomo che ha sfidato tutti con la sua incarnazione post Sex Pistols: i P.i.L. Ltd, ovvero Public Image Limited, un nome che viene da un libro scritto da Muriel Spark, storia di un’attrice disposta a qualunque cosa pur di mantenere la sua ‘immagine pubblica’ immacolata, mentre la corruzione la divora sempre più da dentro. […]

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    Indossa un ampio, spolverino gessato scuro, calzoni in tono e un paio di Vans nere e bianche, sullo scollo s’intravede una maglietta col logo giallo della band; davanti a sé ha un leggio sopra cui posa un raccoglitore che contiene i testi delle canzoni: scopriremo poi, nel backstage, che sulla copertina reca la scritta ‘fairy tales’, ‘favole’, ed è già qui che veniamo introdotti al magico mondo di un personaggio leggendario, che lui lo voglia o meno.

     

    Non solo bizzarro, molto, e sorprendentemente intelligente ma, sopra ogni cosa, capace di un’ironia al vetriolo da distribuire ovunque, a chiunque. Apparentemente cinico, ha la legge morale dentro di sé e il caos urlante sopra di sé.

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    E il pubblico venuto a vederlo stasera mette assieme il gotha della scena punk milanese degli anni Ottanta, che qui si ritrova dopo molti anni, invecchiato ma non stanco, insieme ai pochi giovani punk tra cui un coraggioso con tanto di cresta a ‘spike’, a spuntoni. In un periodo in cui i ragazzi non sembrano più in grado di essere ribelli, è bello vedere che un testimone è comunque riuscito a passare. Del resto anche questa, come nel caso dei Cccp, non sarà una serata nostalgica.

     

    Il benvenuto viene dato da Penge (il sobborgo nel distretto di Bromley, a Londra) con la voce stentorea di Lydon che recita appunto “welcome to Penge”, allargando le braccia in maniera teatrale.

     

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    È una specie di strana ballata di sapore celtic-punk, come un annuncio del fatto che stai per entrare in uno strano mondo dove “tra le nebbie del mattino puoi incontrare uomini con la profondità del mistero”. Implacabile, la chitarra di Lu Edmunds comincia a gracchiare: “Slow motion, slow motion/ Getting rid of the albatross/ Sowing seeds of discontent/ I know you very well/ You are unbearable/ I've seen you up far too close/ Getting rid of the albatross”, “Visione al rallentatore/ liberarsi dell’albatro/ che semina semi di malcontento/ Io ti conosco molto bene/ Tu sei insopportabile/ Ti ho visto troppo da vicino/ liberarsi dell’albatro”:

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    Albatross è uno dei capolavori di John Lydon, tratto da Metal box, il disco più importante del post-punk, la svolta dopo i Sex Pistols. In pochi versi Lydon racconta una presenza insopportabile in un pezzo visionario con tanto di citazione di Baudelaire da lui negata, ovviamente, anche se conosce bene la poesia de I fiori del male, come ha raccontato nell’intervista di copertina di Robinson, il settimanale culturale di Repubblica.

     

    In realtà la dedica riguarda l’allora manager e autoproclamato creatore dei Sex Pistols Malcolm McLaren: sarebbe lui l’albatro, questa presenza ‘intollerabile’ che ‘semina semi di malcontento’ perché cercava costantemente di mettere l’uno contro l’altro i membri della band.

     

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    Lenta, rallentata, malata, ipnotica: nella versione live Lydon sottolinea con dei gridolini, le mani aperte, come se volasse, questa presenza oscena dell’albatro, vero perturbante che in metafora può essere qualsiasi cosa. Ed è in questo che giocano al meglio le canzoni dei P.i.L. di quel periodo: significati simbolici, suoni tesi e nervosi, in qualche caso lunghi ed estenuanti a contrapporsi alla velocità del punk. E qui stasera Lydon non concederà niente a un eventuale pubblico distratto o nostalgico, non canterà nulla dei Sex Pistols, non ci sarà Anarchy in the U.K. e nemmeno God save the Queen.

     

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    Risata diabolica: “Hello students in the house! Ah, dear students, we love you, really!” e attacca Being stupid again […]. Recita con ferocia slogan vecchi e nuovi: “Ban the bomb/ Save the whale/ Give peace a chance”, “No alla bomba/ Salva le balene/ Dai una possibilità alla pace” in stile hippie citando esplicitamente ‘Happy hippy drippy shit’ come ai vecchi tempi della contrapposizione tra hippie e punk, dove i primi venivano visti come lontani dalla realtà, utopisti alla cui finta ribellione Lydon contrapponeva la rabbia della working class in lotta ogni giorno per sopravvivere.

     

    Non molto è cambiato da allora a quanto pare e una cosa che Lydon non tollera è l’obbligo, che considera passivo-aggressivo, del linguaggio politicamente corretto.

     

    Del resto lo vedete Johnny Rotten parlare con lo schwa? Lo spirito iconoclasta del punk non lo permetterebbe mai. Arriva il momento clou con This is not a love song, quasi una risposta alla canzone precedente, con il pubblico che impazzisce e vecchi e giovani che ballano insieme. La sala è strapiena, fuori piove e tira un vento freddo, ma dentro il caldo è intollerabile, come l’albatro di Lydon: concerti che non si vedono più, dove anche il disagio è parte dell’esperienza, di un’esperienza reale che non deve essere mediata dai cellulari. Lydon si scaglia a più riprese con chi filma o fa foto: “Questa è un’esperienza reale, noi siamo persone reali. Cosa filmate?! Non sono la fottuta Britney Spears. Fuck you!”.

     

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    […] John non risparmia davvero niente. Ma la vera catarsi dopo lo straordinario manifesto di Public image è il gran finale di Rise, dove il pubblico si lascia andare nel mantra non proprio buddista (o in realtà invece sì) “anger is an energy”.

     

    La presenza di Lydon è ancora potente: non più quella voce tagliente e feroce dell’‘anticristo” di Anarchy in the U.K. e una presenza che sembrava una minaccia, ma una voce potente che insiste sulle ‘r’ arrotate, suo marchio di fabbrica mentre i gesti sono volutamente esagerati come in una costante presa in giro degli altri e di sé stesso: un trickster, uno sciamano che un momento sembra demente, quello dopo ti sta offendendo e quello ancora successivo ti lacera il cuore con un amore e una bellezza che non sono di questi tempi.

     

    Niente nostalgia ma è di gente così che abbiamo bisogno, non di artisti che ti invitano a comprare inutili marchi, esibiscono corpi perfetti, parlano solo di sé. E cosa ci potrebbe essere oggi più controcorrente di uno che dice ‘sex is bollocks’, ‘il sesso è una stronzata’, oggi che tutto è ipersessualizzato? Certo, l’aveva già detto Pasolini parlando del nuovo ‘consumismo sessuale’. Oggi, però, abbiamo bisogno di qualcuno che sia davvero un ribelle, non la sua squallida caricatura.

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