ALTRO CHE MAFIOSI! – MARIO CUOMO HA DIMOSTRATO ALL’AMERICA QUANTO ERA FALSO LO STEREOTIPO SUGLI ITALIANI TUTTI COPPOLA E LUPARA – AVREBBE POTUTO CORRERE PER LA CASA BIANCA MA ERA TROPPO RISERVATO – COME GOVERNATORE DI NEW YORK È STATO TRA I PIÙ AMATI

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1.“Cuomo, politico riluttante era l’Amleto dell’Hudson”

di Giampiero Gramaglia per “Il Fatto Quotidiano”

 

   Anche quando la Casa Bianca pareva raggiungibile, quasi a un passo, non cedette mai alla lusinga della corsa alla nomination: neppure nel 1988, quando tutti lo pronosticavano vincitore e lui lasciò campo libero al mediocre, e sonoramente battuto, Michael Dukakis, altro ‘etnico’, origine greca; o nel 1992, quando non sfidò l’ambizioso governatore d’uno Stato minore, l’Arkansas, Bill Clinton. Negli Anni Novanta, poi, rifiutò un posto prestigioso e ‘a vita’ alla Corte Suprema.

MARIO CUOMO CANDIDATO GOVERNATOREMARIO CUOMO CANDIDATO GOVERNATORE

 

Le sue riluttanze gli valsero l’attributo di ‘Amleto dell’Hudson’. Ma l’indecisione nasceva, forse, dalla consapevolezza di essere esposto all’ineludibile stereotipo italo-americano, il mafioso. Anni dopo, raccontava: “Quando non mi presentai nel 1992 si trovarono due giustificazioni: che ero legato alla mafia o che avevo il cancro. Nessuno disse che avevo un’amante bionda di 28 anni”.

 

   LA CORSA alla Casa Bianca l’avrebbe costretto a un’esposizione mediatica ossessiva e ininterrotta, lui che diceva di non credere alla mafia e che solo l’anno scorso aveva accettato di vedere Il Padrino: nel 1972, quando uscì il film di Francis Ford Coppola, rispedì al mittente l’invito dell’allora sindaco John Lindsay. Ora che se n’è andato, il coro di elogi per Mario Cuomo è unanime: il presidente Obama lo ricorda come “il campione dei valori progressisti”, la “voce risoluta per la tolleranza, l'inclusione, l'equità, la dignità e l'opportunità”; e il sindaco De Blasio ordina bandiere a mezz’asta per un mese e dice “Abbiamo perso un gigante”.

MARIO CUOMO RENZO ARBORE E LEOLUCA ORLANDO - COPYRIGHT PIZZIMARIO CUOMO RENZO ARBORE E LEOLUCA ORLANDO - COPYRIGHT PIZZI

 

Primo italo-americano eletto governatore dello Stato di New York, Cuomo era nato nel retrobottega della piccola drogheria aperta nel Queens dai genitori d’origine campana, Andrea e Immacolata, due emigrati analfabeti. Ed è morto a Manhattan il 1° gennaio, a 82 anni, poco dopo che il figlio Andrew aveva prestato giuramento per il suo secondo mandato da governatore. Cuomo è stato stroncato da un’insufficienza cardiaca nella sua abitazione: a novembre, era stato ricoverato, ma pareva stare meglio ed era tornato a casa. Dal 1983 al ‘94, fu tre volte governatore: popolare, specie grazie alle politiche di riduzione delle imposte e sostegno della scuola pubblica, si batté sempre contro la pena di morte – il che gli costò il posto nel ’94, battuto da George Pataki –. Cattolico e ‘liberal’, era pro-aborto, posizione che gli valse le severe critiche della Chiesa cattolica.

 

 Studi in legge, una passione per la dialettica, era maestro d’eloquenza, un poeta del valori sociali: nel 1984, incantò la convention con un discorso sulle contraddizioni dell’America reaganiana. Ma sapeva pure tirare fuori le unghie. Nessuno, tranne Nelson Rockefeller, il miliardario repubblicano, ha mai governato lo Stato di New York più a lungo di lui. A New York, i Cuomo sono una dinastia, come nell’Unione i Kennedy, i Bush, magari i Clinton, e hanno la loro matrona, Matilda Raffa, che diede a Mario cinque figli. Andrew, 58 anni, già sposato con una Kennedy –Kerry, settima figlia di Bob Kennedy-, ministro dell’edilizia nel Clinton 2, poi procuratore generale di New York e, dal 2010, governatore dello Stato, potrebbe scendere in lizza per la Casa Bianca nel 2020.

MARIO CUOMO MARIO CUOMO

 

   Su di lui, pesa di meno lo stereotipo italo-americano. Mario l’ha sempre combattuto, stigmatizzando pellicole e serie tv, come I Soprano, che suggeriscono l’equazione italiano = mafioso; arrivando ad affermare che la mafia “è un sacco di palle” (nel1985 dopo l’assassinio del boss Paul Castellano fuori da una steakhouse di Midtown).

 

   Di lui, voleva che la gente dicesse: “Era una persona onesta”. L’epitaffio sulla tomba se l’era già scelto: “Uno che ci ha provato”.

 

 

2. «Seppe vincere i pregiudizi. Un personaggio più grande di Joe DiMaggio e Sinatra»

Ennio Caretto per “Il Corriere della Sera

 

«La comunità italo-americana ha perso il più grande dei suoi figli e l’America ha perso uno dei suoi migliori leader. Mario Cuomo non era solo il simbolo del riscatto e del successo della nostra etnia dopo decessi di fatiche e incomprensioni. Impersonava anche la giustizia, l’eguaglianza e la tolleranza a cui si dovrebbe ispirare la nostra nazione, la faceva sognare come la fece sognare Kennedy. Figurerà nella storia di New York come uno dei suoi governatori più amati».

 

Così, al telefono dal suo appartamento a Manhattan, lo scrittore Gay Talese, l’autore di «Onora il padre» e di «Ai figli dei figli», ricorda il più eloquente e carismatico dei politici italo americani, un uomo che per la maggioranza del pubblico avrebbe meritato la Casa bianca.

MARIO E MATILDA CUOMO - COPYRIGHT PIZZIMARIO E MATILDA CUOMO - COPYRIGHT PIZZI

 

Come giornalista del «New York Times», lei ne seguì l’ascesa negli anni Settanta. Lo conosceva bene?

«Sì, come quasi tutti gli italo americani di New York, e lo ammiravo, innanzitutto come uomo. Eravamo nati nello stesso anno, venivamo da famiglie modeste del Meridione, avevamo ricevuto la stessa educazione, nutrivamo gli stessi principi, ci eravamo fatti strada da soli nella Grande Mela studiando e lavorando, spronati dai nostri genitori. Nella comunità italo-americana mi sentivo un pioniere come lui. Ma nella maturità mi resi conto che stava facendo per essa molto più di me. Era la sua bandiera, il suo modello».

 

In che senso?

«Essere italo americani oggi può essere un vantaggio, ma ancora quaranta, cinquanta anni fa era uno svantaggio, molte porte erano loro chiuse. Sì, tra gli idoli del nostro paese c’erano anche italo-americani, il campione di baseball Joe DiMaggio che sposò l’attrice Marilyn Monroe a esempio, o il grande cantante e attore Frank Sinatra. Ma era in parte folclore, e infatti per la maggioranza della popolazione lo stereotipo dello italo-americano rimaneva quello del mafioso. Mario Cuomo dimostrò che era falso».

 

Come fece?

«Io credo che ci riuscì oltre che per i suoi straordinari intelletto, cultura e comunicativa anche per la sua onestà e per il suo impegno sociale. Era l’ultimo dei leoni liberal, come ha scritto un giornale, un democratico genuino, ma era soprattutto un uomo decente, un buon padre di famiglia, caritatevole, persino idealista. Quando parlava, la gente avvertiva che era sincero, che i suoi programmi di riforme erano davvero intesi per il bene comune, che si atteneva a un codice etico. Non a caso faceva paura ai repubblicani».

 

Il suo governatorato pose quindi fine ai pregiudizi nutriti dall’America sugli italo americani?

MARIO CUOMO CON MOGLIE E FIGLIA - COPYRIGHT PIZZIMARIO CUOMO CON MOGLIE E FIGLIA - COPYRIGHT PIZZI

«Secondo me sì. Mario Cuomo seppe trascendere le proprie origini. Raccoglieva in sé il meglio dell’Italia e degli Stati uniti. Era un patriota americano, ma era anche il custode dei valori italiani. Su queste basi, prima di lui un altro politico della nostra etnia, Fiorello La Guardia, il sindaco di New York, un repubblicano, aveva attratto forti consensi. Ma era stata una parentesi, nessun italo-americano aveva raccolto la sua eredità. Con Cuomo, si aprì un nuovo capitolo».

 

Vuole dire che nemmeno in politica c’è più limite a quanto gli italo-americani possono raggiungere?

«Esattamente. Alla Corte Suprema siedono più italo-americani che esponenti delle altre etnie. Negli ultimi decenni abbiamo retto Ministeri e Forze armate. Prima o poi arriveremo anche alla Casa Bianca. Sono convinto che ci saremmo già arrivati negli anni Ottanta o Novanta con Mario Cuomo se si fosse candidato».

 

E’ vero che rifiutò di candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti perché un membro della famiglia era sospettato di legami mafiosi?

«Penso di no, anche se Bill Clinton, suo compagno di partito, che temeva di essere eclissato da lui, vi accennò nel corso della vittoriosa campagna elettorale del 1992. Cuomo era un uomo molto riservato, molto protettivo della famiglia e molto lontano dai pettegolezzi e dagli scandali. A mio parere, non si sentì di pagare il prezzo familiare e personale che le nostre elezioni comportano. Non gli fu facile, tenne l’America in sospeso per mesi e mesi, tanto che lo definirono un Amleto».

 

Sarebbe stato un grande presidente?

MARIO CUOMOMARIO CUOMO

«Immagino di sì. Alla convention democratica di San Francisco del 1984, da cui emerse anche Geraldine Ferraro, la prima italo-americana candidata alla vicepresidenza, Cuomo tenne un discorso trascinante come non se ne sentivano dai tempi di Kennedy. Per quanto concerne la politica non aveva nulla di amletico. Era dalla parte dei deboli, praticava la politica dell’inclusione. Non sapremo mai come sarebbe l’America oggi se fosse stato presidente per otto anni».