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Gianluca Veneziani per “Libero Quotidiano”
Qualcuno potrebbe definirlo "cent' anni di solitudine" questo secolo dalla nascita di Alberto Sordi, essendo lui il grande solista del cinema italiano, senza padri e senza eredi, unico per talento e genere di comicità. Ma sarebbe più corretto chiamarlo "cent' anni di moltitudine", perché la cifra del "molto" è quella che più connota Sordi.
Alberto fu tante cose prima di diventare il Sordi nazionale: comparsa, cantante, teatrante, doppiatore, personaggio radiofonico. E fu tante cose anche quando fu consacrato dal successo: lo dimostra la sua capacità di adattarsi ai ruoli più diversi e di fare di ogni personaggio un archetipo, reale più che ideale: il Vigile, il Medico, il Soldato, il Borghese, il Marchese sono tutt' oggi la quintessenza dell'italiano medio.
Sta proprio nella capacità di raccontare i mille e uno Sordi la bellezza del libro A Roma con Alberto Sordi. Da Trastevere a Kansas City (Giulio Perrone, pp. 288, euro 18) in cui l'autore Nicola Manupelli si insinua, con grande conoscenza ed empatia, nelle pieghe biografiche e cinematografiche del celebre attore: un dedalo di identità e aneddoti come le vie di Roma lungo le quali lui si inoltra, ripercorrendo i passi di Sordi.
NICOLA MANUPPELLI - A ROMA CON ALBERTO SORDI
Tra le tante maschere indossate da Albertone, la più decisiva fu quella dell'"ameromano", un po' romano e un po' americano. La parlata simil-inglese tornò utile a Sordi allorché ottenne il suo primo vero ruolo per il cinema, il compito di doppiare Oliver Hardy.
E si rivelò essenziale quando si trattò di interpretare la parte del protagonista in Un americano a Roma, che lo portò al successo. In quel film, ricorda Manupelli, tra un «you take la tua street» e un «Attention, nun annà a destra», Sordi «mescola romanesco e idiomi inglesi storpiati, creando una vera e propria lingua».
LA MASCHERA
Un'altra maschera, meno nota ma importante, di cui all'inizio della carriera lui si avvalse, fu quella del finto mussoliniano. Alla nascita di Cinecittà, nel 1937, Sordi "sfruttò" la figura di Mussolini per ottenere qualche ruolo di comparsa, atteggiandosi ad amico del Duce. «Per fare la comparsa», raccontava Sordi, «bisognava avere il bijetto e tutto era in mano ai capigruppo» che «ci comandavano a bastonate.
Per evitare le botte mi inventai che ero amico di Mussolini. Conosci il Duce? Me lo puoi presentare?, mi disse il capogruppo. Come no! risposi. Se mi dai quarche bijetto in più e quarche botta de meno!». Fu anche grazie a quella simulazione che Sordi ottenne la possibilità di entrare nel circuito e prendere parte a pellicole come Scipione l'Africano e Il feroce Saladino.
Erano gli anni, d'altronde, in cui Sordi viveva la spettacolarizzazione del regime come fosse la sceneggiatura di un film: «Ognuno aveva un ruolo», diceva lui, «c'erano le comparse e i comprimari, gli attori e le attrici, e Mussolini era il capo comico, il primo attore. Lo spettacolo era in costume, infatti tutti vestivamo una divisa.
Questo successo era inebriante per noi che non ci siamo mai resi conto di quello che stava succedendo davvero». A ciò contribuiva il suo arruolamento nell'esercito in modo soft: durante la guerra Sordi fu assegnato alla Banda Presidiaria; anziché imbracciare il fucile, suonava il sassofono. Fu solo dopo il bombardamento di San Lorenzo del 19 luglio 1943 che l'attore prese consapevolezza del dramma in cui era precipitata l'Italia.
Lo sperimentò lui stesso all'indomani dell'Armistizio, quando rischiò di essere caricato su un camion tedesco. Ma la sua fortuna fu presentarsi in borghese in caserma: Sordi sfruttò il tempo di tornare a casa a mettersi la divisa per darsela a gambe e disertare. Un trucco simile a quello che adottò nel Dopoguerra, quando dovette presentarsi a teatro, in uno sketch satirico, con una divisa fascista.
Il pubblico tuttavia non ne voleva più sapere del regime. «Una sera in pieno spettacolo», raccontò Sordi, «vedo entrare in sala un gruppo di scalmanati che, al grido di Bandiera Rossa, cominciano a vuotare latte di benzina sul pavimento. Successe il finimondo. Tirarono perfino una bomba. Io mi misi in borghese di corsa e mi mischiai a quelli che tumultuavano nella platea, fingendo di essere uno di loro».
In questi atteggiamenti del Sordi uomo, tra scaltrezza, opportunismo, sagace vigliaccheria e repentini cambi di casacca per salvarsi la pellaccia si anticipano i tic e i trucchi che poi saranno propri del Sordi attore e ne decreteranno il successo. Forse non è così sbagliato pensare che gli italiani che Sordi interpretò erano un po' gli italiani che lo stesso Sordi era.
CAMALEONTICO
In questo disincanto ironico e in questa capacità camaleontica stava d'altronde la sua grandezza, che lo portò a essere invidiato da alcuni totem della comicità italiana e a prendersi gioco degli idoli del tempo. Manupelli ricorda il rapporto conflittuale di Sordi con Aldo Fabrizi, il quale era convinto che l'altro, pur molto più giovane di lui, gli rubasse la scena e anche alcune idee, come quella in cui Sordi fa il gesto dell'ombrello nel film I vitelloni.
alberto sordi con carlo e enrico vanzina
Allo stesso modo Totò era geloso dell'attore romano di cui aveva intuito il talento e la voglia di protagonismo. E così, durante le riprese di un film, Totò e i re di Roma - come confida Enrico Vanzina -, «all'improvviso Totò sputò sul collo di Sordi. Improvvisando. Era un modo per riprendersi la scena».
La mancanza di timore reverenziale di Sordi nei confronti dei grandi del cinema era palese anche nella sua abitudine di fare scherzi telefonici. Manupelli racconta di quando Sordi chiamò Amedeo Nazzari, attore noto per i film strappalacrime, fingendosi un suo fan: «Sono un suo grande ammiratore», gli disse. «Ho visto tutti i suoi film. Se mi potesse fare il piacere di incontrarla per un autografo».
alberto sordi andreina pagnani
E quando quello accettò, Sordi aggiunse: «Be', perché sa una faccia da stronzo come la sua non è mica tanto facile incontrarla!». Un'altra volta Albertone chiamò De Sica, facendo la voce di Nazzari: «Vittorio sono rovinato», gli disse, «non ho più una lira». Siccome Nazzari veramente non se la passava bene, De Sica prese sul serio la richiesta di aiuto e organizzò una colletta.
OLIVER HARDY - STAN LAUREL - ALBERTO SORDI
Quando Nazzari lo seppe, si arrabbiò moltissimo e sporse denuncia contro ignoti. Vittime delle beffe di Sordi furono anche Carlo Vanzina, svegliato in piena notte dall'attore che il giorno dopo sul set si prendeva pure il lusso di sbeffeggiarlo dicendo «Ahò, guarda com' è stanco». E Giulietta Masina, moglie di Federico Fellini, a cui Sordi telefonava facendo finta di essere un'amante del regista e minacciando di andare a trovarla a casa. Goliardie che possono sembrare gli scherzetti di un borghese piccolo piccolo e invece erano le manifestazioni di un attore grande grande. riproduzione riservata.
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