RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Giuseppe Sarcina per il “Corriere della Sera”
La fronte sudata, l'arroganza che evapora lentamente dalla camicia sbottonata, dalle frasi smozzicate, dallo sguardo smarrito.
Quanto è diverso l'Alex Jones alla sbarra nel tribunale di Austin dall'affabulatore radiofonico, dall'inventore di pericolose teorie cospirative che continuano ad avvelenare la società americana. Ecco la più infame: la strage nella scuola elementare di Sandy Hook a Newton, nel Connecticut (14 dicembre 2012) «fu una farsa», recitata «da attori al servizio del governo di Washington che voleva togliere le armi ai bravi cittadini americani».
Dieci famiglie delle vittime, 20 bambini e 6 insegnanti, gli hanno fatto causa per diffamazione, con quattro distinte procedure. L'anno scorso i giudici del Connecticut e del Texas lo hanno riconosciuto colpevole. Alex Jones ha provato a difendersi invocando la «libertà di espressione», protetta dal Primo Emendamento della Costituzione. Ma i giurati non avuto dubbi: l'imputato è un bugiardo seriale.
Ieri la magistratura di Austin, la città texana da cui Jones trasmette il suo «show», ha stabilito che dovrà versare 4,1 milioni di dollari a Neil Heslin e Scarlett Lewis, i genitori di Jesse, sei anni, ucciso dal fucile automatico del ventenne Adam Lanza. La coppia aveva chiesto un risarcimento gigante: 150 milioni di dollari.
Martedì scorso la testimonianza di Neil ha lasciato il segno: «Abbiamo vissuto anni di inferno per colpa delle fandonie del signor Jones. Hanno sparato contro la nostra casa e la nostra macchina. Ora siamo costretti all'isolamento per proteggerci. Spero che sia arrivato il momento di tornare a un'epoca di verità».
Jones si era presentato con la consueta spavalderia. Alla prima udienza è comparso con la bocca sigillata da un nastro adesivo grigio con la scritta «salviamo la verità».
Poi ha cercato di trasformare il suo interrogatorio in una delle sue performance, ma la giudice Maya Guerra Gamble lo aveva subito richiamato all'ordine: «Qui non siamo nel suo "show", si limiti a rispondere alle domande». A un certo punto Jones ha avvicinato Scarlett e Neil: «guardate che il vostro avvocato ha dei video falsi». E prima di tornare a sedersi aveva stretto la mano ai due genitori affranti, assicurando che lui aveva sempre creduto «al 100%» che la strage fosse davvero avvenuta.
Ieri, però, si è ritrovato con le spalle al muro, per un incidente surreale. Il suo team legale, guidato da Andino Reynal, ha inviato per sbaglio tutti i suoi sms all'avvocato delle vittime, Mark Bankston. Un errore clamoroso che rischia di aggravare la posizione giudiziaria di Jones. Nel 2018 l'attivista-imprenditore aveva dichiarato il fallimento della sua holding, la «Free Speech System». Il sospetto era che volesse mettere al riparo il patrimonio nel momento in cui grandinavano le cause per diffamazione e le richieste di risarcimento. Ebbene dai messaggi che Jones ha inviato e ricevuto negli ultimi due anni risulta che gli affari andassero benone.
Le sue società incassavano fino a 800 mila dollari al giorno, tra raccolta pubblicitaria e la vendita di materiale per la propaganda dell'estrema destra. Quando l'avvocato Bankston ha rivelato in aula di aver ricevuto il dossier con gli «sms», Jones ha dapprima reagito con sarcasmo: «Va bene questo è il suo momento alla Perry Mason». Ma subito dopo ha capito che erano in arrivo grossi guai. «Lei ha mentito in questo processo, lo sa che cosa è lo spergiuro?» ha chiesto Bankston. Alex ha farfugliato: «sì, ma non sono un esperto legale».
Il suo difensore ha sollecitato la giudice ad annullare il dibattimento, perché la controparte aveva ottenuto «documenti sensibili» in modo irregolare. Istanza respinta: si va avanti. Anzi, quei messaggi conterrebbero spunti interessanti anche per la Commissione parlamentare che indaga sull'assalto a Capitol Hill. In particolare ci sarebbero fitte conversazioni con Roger Stone, uno degli storici sodali di Donald Trump che più si adoperò per organizzare i tumulti del 6 gennaio.
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