DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Estratto del libro “Il vaso di pandoro”, di Selvaggia Lucarelli (ed. PaperFirst), da domani in edicola – pubblicato dal “Fatto quotidiano”
Guardando il declino della influencer “che si è avvicinata troppo al sole digitale” vediamo il nostro tempo. Vediamo loro, gli altri, vediamo noi stessi, e nessuno è davvero incolpevole. Alla folle parabola ascensionale dei Ferragnez abbiamo partecipato tutti: i milioni di follower che mettevano (e mettono ancora) like alle abbuffate della piccola “Vitto” o alla coppia col caschetto da operai nel cantiere della nuova casa da milionari, mentre i ragazzi manifestavano con le tende davanti all’università.
SELVAGGIA LUCARELLI - IL VASO DI PANDORO - ASCESA E CADUTA DEI FERRAGNEZ
Ha infinite colpe la stampa che ha celebrato acriticamente Chiara Ferragni quando era una star e ne ha documentato ossessivamente il declino, senza mai occupare lo spazio intermedio tra il successo e la caduta. Ovvero quello dell’analisi e della critica. In parole povere: dei fatti. Hanno una parte di responsabilità le aziende che si sono legate ai Ferragnez per operazioni commerciali che avevano anche “una spruzzata di beneficenza”, ma siccome erano i Ferragnez andava bene lo stesso.
E dal mio punto di vista sono colpevoli anche i grandi brand, da quelli del lusso a quelli con un posizionamento più familiare, perché li hanno sempre guardati come un fenomeno capitalistico capace di influenzare l’acquisto e mai, anche, come un inquietante fenomeno sociale capace di influenzare gli elementi culturali che caratterizzano la società. Ha contribuito buona parte della sinistra italiana che li ha eletti “nuovi alfieri dei diritti civili” dimenticando che esistono anche i diritti sociali e che i loro riferimenti, i Ferragnez, hanno fondato il loro successo sulla rimarcazione delle distanze dalle classi sociali più basse e del privilegio.
E che hanno potuto farlo usando le battaglie della sinistra più mainstream per giustificare le disparità, per assolversi dal narcisismo vanaglorioso e consumistico di cui sono, questo sì, alfieri.
Ha contribuito anche chi ha applaudito alle loro buone azioni perennemente sbandierate, spettacolarizzate, diventate materia più per gli uffici stampa che per il sociale. In quei mille euro che Fedez ha versato a un canile dopo che la notizia della sua beneficenza legata alla vendita di un disco era stata su tutta la stampa nazionale o nel lancio di quel Pandoro benefico come estensione del buon cuore di Chiara, c’è il corto circuito del nostro tempo, ovvero l’asimmetria tra la celebrazione del benefattore e il vantaggio del beneficato.
I Ferragnez, generatori automatici di inevitabile invidia sociale, hanno avuto molto di più dalla sinistra e dalla beneficenza di quanto la sinistra e la beneficenza abbiano avuto da loro. Il guaio è stato non sentire mai puzza di paternalismo e comunque, nel caso, tapparsi in fretta il naso. Chiara Ferragni, poi, rincorrendo valori e cause sociali che forse neppure davvero le interessavano, probabilmente ha anche assecondato l’amico e general manager Fabio Damato, che tanto l’ha spinta verso la vocazione femminista.
E Fedez, che l’ha contagiata con la rincorsa della filantropia notiziabile. Il fatto che lei abbia infilato le foto sue e di Fedez mentre ricevono l’Ambrogino d’oro per la raccolta fondi durante il Covid nella cartella “Business” tra le storie salvate, è il riassunto di tutto.
Certo, non esistono solo colpe dirette. I Ferragnez sono vittime a loro volta della dittatura dei social network, di quel già citato “inganno alla luce del sole ” per cui crediamo che orientare le nostre esistenze sulla bussola degli algoritmi sia un processo senza conseguenze.
Il pericolo è molto più che selezionare le immagini migliori della nostra vita, filtrare le nostre giornate dal brutto e dalla noia. L’aspetto peggiore è modellare la propria vita e dirigerla verso ciò che può funzionare. Chiedersi senza sosta se quello che facciamo potrebbe trasformarsi in un contenuto. Indirizzare l’esistenza non più verso ciò che ci piace ma verso ciò che può performare sui social.
Non siamo noi che disegniamo la nostra vita sui social, ma i social che disegnano la nostra vita, deformando la nostra essenza e condannandoci a una infelicità collettiva ben più angosciante della teatrale caduta di una influencer. (...) Mi chiedo, alla fine di questa lunga storia, che è senz’altro destinata a nuovi colpi di scena, se invece Chiara Ferragni, quando dice “Io sui social sono me stessa”, si ricordi ancora chi è o se ormai sia convinta di essere solo la parte più instagrammabile di sé.
Mi domando, in definitiva, se le sia mai interessato che noi la vedessimo per quello che era, e non per quello che le invidiavamo. E se mai le interesserà. Non so che sarà in futuro di Chiara Ferragni, ma tornando all’antico mito greco di Pandora, ricordo che la Speranza è l’ultimo dono a rimanere sul fondo del vaso. Quindi, chissà.
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