COME MAI ALLA DUCETTA È PARTITO L’EMBOLO CONTRO PRODI? PERCHÉ IL PROF HA MESSO IL DITONE NELLA…
Grazia Longo per “la Stampa”
C’ è il dolore, per nulla lenito dai cinque anni trascorsi. E c’è la rabbia, per un processo infinito che ancora non rende giustizia. Tra dieci giorni, il 18 gennaio, saranno cinque anni esatti dalla tragedia dell’hotel Rigopiano, nel comune di Farindola, in Abruzzo, raso al suolo da una valanga che seppellì 29 vittime. Non mancheranno la fiaccolata, l’alzabandiera e la messa ma, mentre si preparano a quella giornata di memoria, i parenti di chi non c’è più non nascondono amarezza e frustrazione.
E non potrebbe essere altrimenti, considerato che l’iter giudiziario è ancora alla fase preliminare. Il 28 gennaio si attende la super perizia ordinata dal tribunale che, tuttavia, potrebbe slittare per una proroga dovuta alla complessità tecnica della materia, determinando così un ulteriore allungamento dei tempi.
Nella stessa giornata si svolgerà l’udienza in cui il giudice potrebbe decidere il rinvio a giudizio dell’unico imputato che ha scelto il rito ordinario, l’ex sindaco di Farindola, Antonio De Vico, che secondo la pubblica accusa «avrebbe dovuto impedire la realizzazione dell’hotel e comunque non ha adottato le norme di salvaguardia che avrebbero impedito decessi e lesioni agli ospiti della struttura».
Gli altri 29 imputati coinvolti hanno invece scelto il rito abbreviato e c’è da augurarsi che la sentenza arrivi entro il 2022, o non molto oltre, altrimenti alcuni reati cadranno in prescrizione. I reati contestati vanno, a vario titolo, dal crollo di costruzioni o altri disastri colposi, all’omicidio e lesioni colpose, all’abuso d’ufficio e al falso ideologico.
Ma l’abuso d’ufficio si prescrive in 5 anni, il falso in sette anni e mezzo, mentre ne occorrono 15 per mandare in prescrizione il crollo. «Per accelerare i tempi sarà determinate la super perizia» esordisce Paola Ferretti, una delle anime del Comitato familiari delle vittime, madre di Emanuele Bonifazi, addetto alla reception dell’hotel, morto a 31 anni.
E il suo avvocato di parte civile, Alessandro Casoni, precisa: «Se la perizia ordinata dal Tribunale dopo il contrasto tra quella della Procura e quelle degli imputati, verrà depositata entro il 28 gennaio, la discussione del rito abbreviato potrà avere inizio e le sentenze potranno arrivare entro la fine del 2022. Ovviamente, invece, per il rito ordinario ci vorranno anni».
Quanto alle prescrizioni, l’avvocato Casoni non sembra preoccupato: «Il rischio è reale se i tempi si allungano, ma bisogna conteggiare i 6 mesi di sospensione del periodo post sismico e gli oltre due mesi del lockdown 2020».
Paola Ferretti aggiunge: «Speriamo che questo sia l’anno giusto perché oramai il vaso è colmo. Mi sento una cittadina ferita perché il nostro sistema giudiziario offre più diritti agli imputati che alle vittime. E non è giusto. Ho 59 anni ma, per la sofferenza causata dalla scomparsa di mio figlio, me ne sento addosso 20 di più e vivo nel terrore di morire senza che lui ottenga giustizia. Tra l’altro a mio figlio non è stata neppure riconosciuta dall’Inail la morte sul posto di lavoro».
Gianluca Tanda, presidente del Comitato, è il fratello di Marco, pilota della Ryanair, che ha perso la vita a 25 anni insieme alla fidanzata Jessica Tinari, 24 anni, mentre si trovavano in vacanza al Rigopiano. «Non solo siamo sfiniti e logorati per quest’attesa senza fine di un processo che ristabilisca la verità, ma dobbiamo anche fare conto con delle incongruenze assurde imposte dalla burocrazia. Da tempo abbiamo una statua della Madonna donataci dal Comune di Orosei da sistemare nella montagna di fronte a quella dov’è avvenuta la valanga ma non ci danno il permesso perché dicono che quella è una zona di valanghe. L’avessero stabilito prima di costruire l’hotel non staremmo qui a piangere i nostri cari».
Profondamente sfiduciato è anche il papà di Jessica, Mario Tinari: «Era la mia unica figlia, la mia stella, faceva l’estetista ed era benvoluta da tutti. Io e mia moglie Gina andiamo al cimitero due volte al giorno e viviamo alla giornata, senza una meta. La giustizia italiana purtroppo funziona molto male, è troppo burocratica, troppo farraginosa, alcuni reati rischiano la prescrizione e io sinceramente dopo 5 anni non mi fido più».
Non vuole dilungarsi sull’aspetto giudiziario, «perché tanto è una battaglia continua» Martina Remigio, zia diventata mamma adottiva di Samuel Michelangelo, sopravvissuto alla slavina dopo essere rimasto sepolto sotto le macerie per 50 ore. Purtroppo persero la vita il suo papà, Dino Michelangelo e la sua mamma, Marina Serraiocco.
Oggi Samuel vive a Chieti, dov’è stato adottato dallo zio materno Giuseppe Serraiocco e sua moglie Martina che ribadisce: «Il dolore per quello che è accaduto non è scomparso, ma con l’approssimarsi dell’anniversario si fa ancora più acuto».
Completamente disilluso è, infine, Francesco D’Angelo, fratello gemello di Gabriele che morì a 32 anni mentre lavorava come cameriere al Rigopiano: «La sentenza di questo processo è già stata scritta e non è a favore dei nostri morti. Io non sono mai stato un gran lettore, eppure mi sono letto tutte le 88 mila pagine del fascicolo e posso dire che tante cose non sono venute a galla, secondo me ci sono altri responsabili che l’hanno fatta franca. Spero che non succeda altrettanto per i 30 imputati anche se, mi spiace dirlo, ho seri dubbi».
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