DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Elisabetta Andreis e Cesare Giuzzi per il “Corriere della Sera”
Silvia indossa pantaloni blu di una tuta, un vestito scuro a fiori e una felpa sportiva. Ai piedi un paio di Superga nere e a cingere il capo un hijab realizzato con una pashmina rossa, arancione e dorata. Sale i cinque gradini di casa e sparisce verso l' ascensore.
Accanto a lei c' è la madre Francesca che come a proteggerla le poggia una mano sulla schiena mentre apre la porta.
Non sorride, e neppure ne ha il tempo. Anche perché è appena tornata da un interrogatorio durato quasi un' ora e mezza nella caserma di via Lamarmora del Ros dei carabinieri. Mancano pochi minuti alle 18 di una giornata che fino a lì aveva trascorso in casa senza mai alzare le tapparelle.
Con la sua famiglia, con il papà che dopo pranzo arriva a trovarla, con i fiori che per tutta la mattina vengono portati dai fiorai della zona.
Fiori di amici, di compagni di scuola e di viaggio che per rispetto e per pudore non osano rompere la fragile serenità del suo secondo giorno di libertà milanese.
Perché Silvia Romano da sabato non è più nelle mani dei rapitori, ma al suo rientro in Italia ha dovuto affrontare una prova altrettanto dura che lei, con i suoi 24 anni e i sogni violati di ragazza, non avrebbe mai immaginato di vivere.
Non qui almeno, nella sua Milano. Dove oggi esce di casa per andare a testimoniare dai carabinieri che indagano sulle minacce di morte che, senza che neppure lo sapesse, le sono piovute addosso da tutta Italia. La sua «colpa» è quella di essersi convertita, di avere sceso la scaletta dell' aereo con uno jilbab , l' abito tradizionale islamico delle donne somale, diventato oggi quasi il simbolo di un alto tradimento per una nazione che le ha salvato la vita e pagato un riscatto.
FRANCESCA FUMAGALLI MADRE DI SILVIA ROMANO
È la mamma Francesca Fumagalli, quando nel primo pomeriggio scende a portare il cagnolino ai giardini di piazza Durante, a chiudere con una frase tutte le polemiche che in queste ore sono esplose sulla scelta religiosa della figlia: «Come vuole che stia?
Provate a mandare un vostro parente due anni là e voglio vedere se non torna convertito», dice con un moto di esasperazione. Chiede di «usare il cervello» di fronte alle scelte di vita di una ragazza che per 18 mesi è rimasta nelle mani feroci dei rapitori fondamentalisti di Al-Shabaab .
FRANCESCA FUMAGALLI MADRE DI SILVIA ROMANO
Silvia chiede «tempo». Tempo per «ritrovare se stessa» e anche la sua libertà: «Datemi tempo per elaborare quello che è successo in questi mesi. Tempo tranquillo per ritrovarmi», dice ai familiari. Lo zio Alberto, fratello della mamma, è ancora scosso come tutta la famiglia dallo «tsunami di odio» arrivato dal web: «Bisogna avere rispetto per quello che ha passato Silvia e per quello che è come persona -ripete -. Adesso Silvia ci chiede molto umanamente e con semplicità queste cose. E noi tutti gliele dobbiamo regalare.
SILVIA ROMANO E GIUSEPPE CONTE
Ha vissuto situazioni che neanche possiamo immaginare e di cui ancora non riesce a parlare con noi».
Davanti al pm Alberto Nobili, capo del pool Antiterrorismo, e al tenente colonnello Andrea Leo del Ros di Milano, Silvia Romano dice di essere «serena», di non avere paura per le minacce. Racconta di essere contenta per la sua liberazione, di essere tornata a casa con la mamma e la sorella Giulia. E quei messaggi di odio non sa da dove provengano.
La privacy del suo profilo social è stata rafforzata contro gli haters . In queste ore non ha letto i giornali, non ha guardato le trasmissioni televisive che mostravano le immagini di lei, in mezzo a un fiume di fotografi e telecamere, mentre varcava la porta di casa. «L' abbiamo tutelata», dice la famiglia. La madre Francesca non sa ancora quando «Silvia sarà pronta per parlare, per una conferenza stampa»: «Per adesso deve fare la quarantena sanitaria, lasciateci tranquilli in queste due settimane».
In casa Silvia-Aisha riposa e prega in questi giorni di Ramadan. Accanto a lei ha l' affetto di chi sta facendo ogni sforzo per proteggerla. «È una ragazza di 24 anni, ma è come se non avesse mai vissuto gli ultimi due. Ora deve ritrovarsi e recuperare la sua vita».
LA CERIMONIA CON DUE CARCERIERI “COSI’ SONO DIVENTATA MUSULMANA”
Cristiana Mangani per “il Messaggero”
Ora ha paura, Silvia, ma non per se stessa, soprattutto per la sua famiglia, per il clima di odio che si è creato intorno alla scelta di diventare musulmana. Mai avrebbe potuto immaginare, questa venticinquenne di Milano, di dover fare i conti con un rientro così pesante e difficile, tra mille polemiche e insulti. Di quei 18 mesi passati a pensare ai suoi parenti, a quanto potessero essere preoccupati senza sapere nulla della sua sorte, ricorda ogni momento. E al pm Sergio Colaiocco e al colonnello Marco Rosi del Ros, che la hanno ascoltata al ritorno in Italia, ha riferito i particolari.
GIUSEPPE CONTE - SILVIA ROMANO CON I GENITORI - LUIGI DI MAIO
Il verbale di interrogatorio è stato fatto tutto d'un fiato. Parlava senza fermarsi, ancora carica dell'adrenalina scatenata dalla liberazione, dalla nottata passata in ambasciata a Mogadiscio, dal viaggio di ritorno. Sin dal primo momento in cui è arrivata a Roma ha ripetuto come un mantra di essere serena, ribadendo di non essere stata maltrattata e di aver avuto garanzia dai suoi carcerieri che non l'avrebbero uccisa. Del resto, al Shabaab finanzia da sempre il gruppo con il denaro dei sequestri. E Silvia non doveva essere toccata.
Durante gli spostamenti tra un luogo e un altro - ha raccontato lei stessa - «mi facevano salire in auto, in moto, o anche su un carretto. Mai a piedi. E una volta raggiunto il nuovo posto dove fermarsi, mi ritrovano da sola in una stanza, dove, non molto distante, c'era un bagno. Non ho visto altri occidentali, né ho vissuto con altre donne. Ho sentito parlare di altri rapiti, ma non mi è capitato di incontrarne».
LA RICHIESTA
Nelle varie fasi della trattativa per il suo rilascio, sembra che i carcerieri abbiano provato a cedere più di un ostaggio, in cambio di dieci milioni di dollari. Ma l'accordo non ha mai avuto seguito e l'Italia ha proseguito per la sua strada. Nell'aprile del 2019 il gruppo terroristico ha sequestrato in Kenya due medici cubani, parte di un gruppo di 100 medici arrivati nel Paese nel 2018 per potenziare il sistema sanitario nazionale. Sono tuttora nelle mani dei jihadisti insieme a una infermiera tedesca, del Comitato internazionale della Croce rossa, rapita nel maggio del 2018 a Mogadiscio. Ed è certo che anche per loro sia in corso una trattativa.
Silvia ha passato molto tempo nella regione del basso Shabelle e nella regione di Bay. Era nelle mani di Amniyat, le unità di elite di al Shabaab, ed è proprio per questo che è stata trasferita più volte, almeno sei, perché era con una fazione che conosce e controlla molto bene il territorio e sa come anticipare le operazioni delle forze di sicurezza.
La conversione è arrivata dopo circa 5 mesi dal giorno del sequestro, ed è avvenuta con una vera cerimonia, alla quale erano presenti anche due dei carcerieri. «Avevo bisogno di credere in qualcosa - ha dichiarato la cooperante agli inquirenti - Di conoscere le ragioni di quanto mi stava accadendo. Ho espresso la volontà di diventare musulmana. Ho recitato le formule e ho dichiarato che Allah è l'unico Dio. È durato tutto pochi minuti. Nessuno mi ha obbligata, è stata una mia scelta. E in quel momento ho scelto di chiamarmi Aisha».
silvia romano torna a casa a milano 1
Gli inquirenti ora stanno verificando se esistano contatti tra il commando e i somali e in che occasioni siano stati girati i tre video che poi sono stati inviati come prova in vita. I video, soprattutto l'ultimo del 22-23 aprile, potrebbero fornire elementi utili anche per agire sulla rogatoria con la Somalia: sono tutti stati fatti con un telefonino e girati dal carceriere che parlava inglese.
SILVIA ROMANO CON IL GIUBBOTTO ANTIPROIETTILE
«Mi spiegava cosa dovevo dire, premettendo sempre nome, cognome e data», ha ricordato la ragazza. La procura e il Ros stanno anche analizzando i documenti in loro possesso. Tra questi una serie di tabulati telefonici recuperati nell'estate del 2019 nel corso di una missione effettuata in Kenya nell'ambito dell'accordo di collaborazione tra gli inquirenti dei due paesi culminato con un vertice a piazzale Clodio nel luglio dell'anno scorso.
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