RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Gianluigi Nuzzi per “la Stampa”
Il Covid19 s' aggira come uno spettro nei sacri palazzi. Aggredisce monsignori, sacerdoti, segretari. E isola forzatamente Papa Francesco. Lo fiacca e priva della carica che arriva dalle folle, da una piazza San Pietro solitamente colma. Una clausura alla quale non siamo abituati, ancor meno lui, pontefice dell'abbraccio. Ma Francesco è consapevole di come questa sia l'unica condizione per preservare, oltre alla vita, il proprio ruolo. Inimmaginabile un conclave in piena pandemia, esponendo anziani cardinali a rischi imprevedibili di viaggi, riunioni e assembramenti.
Così il Vaticano, fino alla detonazione del caso di Angelo Becciu, sardo di Pattada, classe 1948, entrato in seminario a 12 anni, elevato cardinale da Francesco nel 2018. Becciu rinuncia alle prerogative da cardinale, a ogni incarico nella curia romana, al diritto di entrare nel futuro conclave. Perché?
La ferita più profonda in Bergoglio non dev' essere provocata dal presunto malaffare, l'ipotizzato accaparramento familistico attribuito al porporato, il saccheggio celato e maleodorante del quale lo si accusa. Nemmeno dalla delusione psicologica per un uomo forse più narrato che ritenuto vicino. Bergoglio non è giudice terreno delle leggi. Non raccoglie indizi. Non misura prove in chiave giudiziaria. E così i fratelli cardinali che si stringono a lui godono dell'immunità proprio perché non è necessaria nel rapporto di fede e fiducia.
Quindi, i flussi di soldi, attinti dall'Obolo di San Pietro e dirottati in Sardegna, l'accusa di peculato, indegna sì noi laici, ma tutto ciò a Santa Marta deve suonare più come effetti, aggravanti più che causa. Allora, perché? L'onta devastante, che pregiudica il rapporto, è la menzogna, il nascondimento. Il fatto che un cardinale menta al Papa, persino nella teologia di un pontefice assai radicato nell'indulgenza, nella misericordia del perdono, è insuperabile.
Quando un cardinale mutila la verità di aspetti sostanziali, ne leviga l'essenza per quella che Joseph Ratzinger indica come «l'ambizione umana al potere», l'abbraccio fraterno diventa irricevibile. È quindi questa la chiave d'accesso più logica per interpretare quanto avvenuto, sino al clamoroso ridimensionamento di Becciu, esposto ora sì alla giustizia della uomini avendo privato il Papa della fiducia. La formazione del convincimento in Bergoglio è stata lenta, solitaria. Ma deve aver unito i punti.
Ogni volta che sceglieva un uomo decisivo per portare avanti la riforma della curia, corridoio indispensabile per rilanciare la Chiesa nel mondo, ecco che questi veniva impallinato da scandali, accuse che poi puntualmente si rivelavano inconsistenti. Ed erano tutti nemici di Becciu. Così la scontro con George Pell, il cardinale australiano che stava svuotando i cassetti dei segreti e maneggi finanziari, scelto all'esordio del pontificato e messo in mora da un'inchiesta per pedofilia che si è vaporizzata definitivamente a processo.
Pell è innocente, furibondo, convinto che dietro le accuse si sia celata una manovra curiale per screditarlo e anestetizzare la riforma del Papa. E in effetti così è stato. Con l'addio al Vaticano di Pell, tornato in Australia a difendersi, la segreteria per l'Economia che presiedeva è rimasto un monolite incompiuto. Creata proprio per bilanciare quella di Stato dove Becciu era eminenza grigia, priva di Pell, è stata di fatto via via rallentata nella crescita e svuotata nelle responsabilità. Sulle accuse a Pell ora corrono addirittura voci di bonifici che dal sud Italia sarebbero partiti alla volta del lontano continente: si vedrà se sono pettegolezzi, balle o verità.
LIBERO MILONE PAPA FRANCESCO BERGOGLIO
Di certo non è un caso isolato. Così lo scontro con Libero Milone, professionista serio, fondatore di Deloitte Italia dalla reputazione univoca. Era stato scelto da Francesco come primo revisore generale, super controllore di appalti e transazioni. Bergoglio lo incontrò nella sala d'aspetto di Santa Marta: «Vada avanti, non tema nessuno, non si fermi mai».
Quando Milone ebbe l'ardire di scartabellare la contabilità dei forzieri, i conti dei porporati, a iniziare da quelli di Becciu, percepì che qualcuno lavorava per creare distanza tra lui e il pontefice, che prima incontrava tutte le settimane. Il freddo divenne presto gelo. Fu messo alla porta con la perfida minaccia «o si dimette o l'arrestiamo», facendo riferimento a una presunta indagine contro di lui.
angelo becciu papa francesco 1
Peccato che di questa indagine non si è mai saputo nulla. Nemmeno se sia esistita davvero. La clamorosa defenestrazione conclude una partita cruciale nella storia della Chiesa, avviata da Benedetto XVI quasi dieci anni fa, quando percepì che la mondanità rapace era soverchiante, destabilizzante, capace di far brillare le colonne della Basilica. Quindi la meditazione, la rinuncia al pontificato, la messa in mora dell'italianità curiale, l'arrivo di Bergoglio.
«Attenti ai preventivi, alle spese» tuonava Francesco in sala Bologna nel luglio del 2013 agli esterrefatti cardinali, abituati a papi che si occupavano di anime e non di gestire lo sterco del demonio, il denaro. Bergoglio, invece, li scuoteva. E cosi la battaglia a bassa intensità del gesuita argentino per il controllo della Curia con la falcidia inesorabile, silente, di chi con le mani sul Vangelo godeva di fiducia mal riposta. Alla fine, come già raccontato a luglio proprio su queste colonne, era rimasto lui del potente triumvirato delle tre B: Bertone (arroccato nell'attico), Balestrero (spedito in sud America) e appunto Becciu di Pattada, il paese conosciuto in tutto il mondo per i coltelli affilati. E che ora si sono spuntati. Per sempre.
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