DAGOREPORT - È TORNATA RAISET! TRA COLOGNO MONZESE E VIALE MAZZINI C’È UN NUOVO APPEASEMENT E…
1. BOSSETTI: “POSSO SPIEGARE PERCHÉ IL MIO DNA È SU YARA”
Paolo Berizzi per "La Repubblica"
Massimo Giuseppe Bossetti raccoglie le lacrime e sussurra: «Avvocato, le spiego perché hanno trovato il mio Dna sul corpo della povera Yara». Nell’afoso pomeriggio del carcere del “Gleno” c’è un presunto assassino che piange e prova a convincere uno dei suoi legali — Claudio Salvagni, del foro di Como, il secondo che compone adesso il collegio difensivo assieme a Silvia Gazzetti — della sua innocenza.
«Non contesto che le tracce trovate siano mie — rivela Bossetti nel cuore di un colloquio durato oltre un’ora, ed è una prima ammissione — Ma ci sono delle spiegazioni che posso offrire ai magistrati, dei motivi precisi che stanno alla base di questo ritrovamento. Sono questi motivi che mi scagionano».
Comunque stiano le cose, lo scatto difensivo del muratore accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio rappresenta se non uno passo in avanti, certamente una novità. Dentro una partita giudiziaria che si annuncia complicatissima. Molto in salita per il quarantaquattrenne di Mapello. Che però adesso, a sorpresa, mette sul piatto elementi che potrebbero avere la forma di un alibi.
massimo giuseppe bossetti il presunto killer di yara gambirasio
Le “spiegazioni” di Bossetti sono la polpa che cercavano i suoi legali: quanto ricca ancora non si sa perché, al momento, non è dato conoscere su cosa si basino quegli argomenti. Ma sono il perno attorno al quale «costruiremo la strategia difensiva. È per questo — dice l’avvocato Salvagni — che non posso rivelarle. Sarebbe poco strategico. Posso solo dire, e non è dovere d’ufficio, che il mio cliente mi ha ampiamente convinto della sua innocenza».
Insomma: mentre il peso delle evidenze scientifiche grava come un macigno sul destino del presunto assassino di Yara Gambirasio, lui, Bossetti, aggiunge un nuovo pezzo agli argomenti con cui continua a difendersi sfidando i riscontri granitici che l’accusa gli muove contro.
«Non discutiamo il lavoro della procura sul Dna — ragiona ancora Salvagni — Né crediamo che su questo siano stati fatti errori. Anche se mi chiedo come sia possibile che dopo tre mesi si trovi tutto alterato e inquinato dagli agenti atmosferici e ambientali (si riferisce al cadavere di Yara ritrovato nel campo di Chignolo d’Isola), e invece il Dna no: perfettamente intatto, pulito... Ma ad ogni modo: quanto mi ha riferito Bossetti — ribadisce il difensore — potrebbe giustificare la presenza delle tracce che sono state rinvenute».
Durante il colloquio, il secondo dopo un primo breve contatto lunedì pomeriggio, l’uomo che secondo la Procura ha spento per sempre il sorriso di Yara con «l’aggravante delle sevizie e della crudeltà», ha riferito al suo avvocato di avere comunque fiducia nella giustizia. Di più: «Sono certo che verrà dimostrata la mia innocenza». Sta meglio Bossetti. La sua frequenza cardiaca è tornata a essere regolare dopo l’impennata di sabato scorso. Un malore per il quale — si apprende ora — era stato ricoverato all’ospedale Papa Giovanni XXIII dove è stato trattenuto fino a tarda notte per accertamenti.
Ieri mattina il presunto killer — sollevato dopo avere appreso dai suoi difensori che la procura ha autorizzato il colloquio con la moglie Marita Comi, colloquio che potrebbe svolgersi già oggi — si è sfogato con gli operatori carcerari che lo hanno incontrato. «In questi giorni in cella mi sento come quel povero Fikri. Estraneo a questa vicenda. E proprio perché sono estraneo spero di uscire al più presto da questa storia». Una speranza che, al momento, appare sempre più flebile.
Mohamed Fikri è stato scarcerato perché su di lui pendeva l’errore marchiano di un interprete. Su Bossetti pende l’incontrovertibilità della scienza e della tecnologia. Con un cerchio accusatorio in parte già depositato, e che di giorno in giorno si stringe sempre più.
Claudio Salvagni e Silvia Gazzetti stanno decidendo in queste ore se confermare l’orientamento, già manifestato in questi giorni, di avanzare domanda al tribunale del Riesame per la richiesta di scarcerazione. «È ancora una possibilità, vediamo. Allo stato attuale — dicono — Massimo Bossetti è innocente, e faremo di tutto per dimostrarlo».
2. TELEFONINI AL SETACCIO NE AVEVA DIECI E LA MOGLIE TACE SUI COMPUTER DI CASA
Piero Colaprico per "La Repubblica"
Massimo Giuseppe Bossetti può aver lasciato tracce impossibili da cancellare. Gli investigatori la chiamano «caccia all’errore». «Prima, dal 2010 al 2011, noi avevano un marziano, “Ignoto Uno”. Adesso — dice il questore Dino Finolli — abbiamo una faccia, le targhe delle sue auto, milioni di dati presi dopo che il 26 novembre la bambina sparì, e li stiamo incrociando tutti». La ricerca in queste ore è concentrata da polizia e carabinieri principalmente su tre fatti.
Innanzitutto, sul numero sorprendentemente alto di telefonini usati da Bossetti, una decina: tutti sequestrati, e tutti sui tavoli dei tecnici per controllare spostamenti, contatti, schede. Questa disponibilità di telefonini va incastonata in un dettaglio: se Bossetti dice che la notte della scomparsa di Yara ha spento il telefonino personato” la batteria non funzionava, non poteva usare — domanda — un altro dei suoi telefoni? Poi, i computer.
genitori di yara gambirasio 9c401bce3532bd5f3871918ef8d14934
L’altro ieri Marita Comi ha descritto il marito come un tranquillo lavoratore casa e famiglia. Ma le hanno chiesto: «Può dirci a chi appartengono i vari computer? Chi li ha usati?». Qui si è registrata una «non risposta»: Marita Comi si è avvalsa della facoltà di non rispondere. Perché? Quei computer, frattanto, cominciano ad essere «aperti».
Per il momento i detective cercano quello che «si vede», le mail, i siti visitati, poi cercheranno il «cancellato», quello che è sparito nell’hard disk. E lo stesso faranno sui telefonini: sono tutti, secondo indiscrezioni, «apribili» grazie a programmi di ultima generazione che recuperano i dati eliminati.
Infine, nella «caccia all’errore » diventa importante una caratteristica dell’Iveco Daily verdazzurro di Bossetti. Questo furgone «simbolo — dice la pubblicità — dell’Italia che lavora » viene disegnato praticamente su misura dai carrozzieri a seconda delle necessità dell’acquirente. Il cosiddetto “casché può cambiare e, quindi, se le telecamere delle banche sono in bianco e nero e se la targa non è leggibile, la sola «traccia» diventa un «segno» speciale. Da quel furgone, inoltre, erano spariti due anni fa gli attrezzi di lavoro: la denuncia era stata fatta da Bossetti e, al momento, viene ritenuta un’informazione «neutra».
A questo quadro, vanno aggiunti due interrogatori. Uno riguarda l’ex fidanzata di Bossetti, che ha telefonato a un programma tv, per dire che, quanto lei l’aveva lasciato, Bossetti aveva avuto un comportamento «irruente». Dalle domande e risposte a verbale, però, non è emerso nulla di importante.
L’altro interrogatorio, lungo, è stato reso dal cognato e coetaneo, Agostino Comi, fratello di Marita: «Massimo — diceva nei giorni scorsi ai cronisti — ha paura anche della propria ombra, è un mite. Era lui qualche volta a chiedere: “Allora, l’assassino di Yara quando lo prendono? Chissà che faccia avrà...”».
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