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Tiziano Toniutti per “la Repubblica”
Si chiama Battle Royale, "battaglia suprema", ed è la categoria di videogiochi che sta sbancando il mercato. Tra loro Fortnite, il gioco su cui il killer di Christchurch dice di essersi allenato, ma il filone è ricco: Apex Legends e PUBG sono titoli giocati da centinaia di milioni di persone nel mondo.
Fortnite ha raggiunto un picco di oltre 10 milioni di giocatori insieme, guadagnando 2 miliardi e mezzo di dollari nel 2018. È una battaglia "tutti contro tutti", surreale e sanguinosa, in cui l' obiettivo è solo uno: sopravvivere fino all' ultimo, essere l' unico che rimane vivo. Oltre agli avversari, c' è il pericolo dell' area di gioco che progressivamente si restringe e può uccidere. E per restare in piedi più a lungo possibile, si spara agli altri. Con ogni tipo di arma.
Fucili d' assalto, carabine, armi da fanteria, da cecchino, lanciagranate, pistole. Non ci sono limiti. Se pensate ad un' arma da fuoco, nel gioco c' è. Ed è con questo arsenale virtuale che Brenton Tarrant, l' assassino della Nuova Zelanda, dice di aver fatto pratica prima di aprire il fuoco su decine di innocenti.
Ma è possibile davvero allenarsi ad uccidere in un videogioco? Tenere in mano un' arma virtuale, con il livello tecnico raggiunto dai videogame, dai "controller" per giocare e dalla tecnologia delle armi, oggi forse può non essere molto diverso da premere un grilletto vero. L'atto in sé non è diverso nello svolgimento, si punta e si spara. Ma un omicidio di massa non nasce e non matura all' interno di quello che è, pur con tutta la violenza simulata che può contenere, pur sempre un gioco.
Tarrant ha ucciso parlando di Fortnite, dello Youtuber PewDiePie, mescolando elementi di cultura e subcultura digitale, come un abile "troll". Ma se nello schermo l'avversario scompare nel nulla, nella realtà il corpo delle vittime rimane in terra. La differenza tra chi gioca e chi uccide nasce molto prima di avviare Fortnite, giocando non si diventa assassini. Resta la violenza dei Battle Royale, colorata, esagerata, irreale, e certo distante da quella vera.
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