CHI L’HA VISTO? ERA DIVENTATO IL NOSTRO ANGOLO DEL BUONUMORE, NE SPARAVA UNA AL GIORNO: “QUANTE…
Michela Tamburrino per “la Stampa”
Asia Argento ricorda Alda Merini e sono schegge di passato remoto. Le poesie aiutano, le poesie di Alda sono schiaffi di vita che Asia comprende molto bene. C'è un senso di ritorno che s' addice perfettamente a Venezia e alla Biennale. Il giorno dell'inaugurazione di Biennale Teatro, coincide non a caso con l'apertura di «Late Hour Scratching Poetry» l'appuntamento con le parole di Alda Merini, «irregolare, amatissima icona della poesia contemporanea. Un viaggio attraverso le sue memorie - da L'altra verità a Diario di una diversa fino alla La pazza della porta accanto - un flusso di pensieri tra pagine di diario, versi, lettere, annotazioni».
A dare voce alla prosa lirica di Alda Merini la figura altrettanto anticonvenzionale di Asia Argento. «Solo angeli e demoni parlano lo stesso linguaggio, da sempre», scriveva Giorgio Manganelli nella prefazione de L'altra verità.
Ogni sera, per tutta la durata del Festival, Asia Argento e poi Galatea Renzi e poi Sonia Bergamasco (voci scelte dai direttori di Biennale Teatro Stefano Ricci e Gianni Forte), occuperanno a Venezia gli spazi esterni dell'Arsenale in nome e nelle parole di Alda Merini. Ad accompagnare lo spettatore, Demetrio Castellucci, con i suoi soundscape elettronici e djset.
Asia ma la sua amicizia con Alda Marini?
«L'ho conosciuta negli Anni 90, ci avevano coinvolte in un progetto pubblicitario che non ricordo se andò mai in porto. Lei aveva scritto delle poesie su mie foto scattate da Ferdinando Scianna. Avevo 19 anni. Fumammo cento sigarette insieme. In quell'occasione mi aveva dettato due poesie che non trovo più dopo mille traslochi. Mi diceva, "tu, pallido cerbiatto"».
Come la ricorda?
«Un poeta rock che rompe gli schemi. Una sopravvissuta che ha saputo amare la vita in modo carnale. Un avvicendarsi di uomini, era adulata ma si scherniva, un'anima selvaggia».
La sente affine?
«Mi sento figlia dei suoi cancelli aperti per tutti noi. Non sarei la donna libera che sono se non mi avesse spalancato la porta, come io dopo ho fatto per altri. Il cammino è oltre la porta e il nostro valore si valuta sulla capacità di superare gli ostacoli che le porte chiuse rappresentano».
Merini aveva scritto che da tutta questa sofferenza aveva scoperto la potenza della vita. Anche lei?
«La sofferenza, la nascita, la malattia fanno parte della vita. Accettare e risorgere dalla sofferenza crea un potere sovrumano. È molto più facile stare nel dolore e nel rimorso perché lo si riconosce. È quasi confortevole stare male, è fatto noto. Complicato è riprogrammare il proprio cervello per conoscere la felicità. Io lo faccio pensando agli altri e meno a me, una soluzione per superare il mio egoismo infantile».
Lei ha detto che finalmente è uscita dalle dipendenze riappropriandosi di se stessa. È vero?
«Bisogna conoscere le dipendenze per sapere che una persona che è dipendente lo sarà per sempre. Io pratico e studio buddismo per scollegare i miei mondi bassi. Ma posso solo dire di essere in recupero. Da un anno non bevo e tengo a bada l'alcolismo. Ma non sono guarita. Ci sono dei traumi che molte persone vivono, viene a mancare il sistema di attaccamento e allora ci si affida all'alcol e alle droghe, fungono da ansiolitici. All'inizio funziona ma con il tempo diventano depressivi. Trasformare il veleno in medicina. Un lavoro quotidiano. "Per oggi ho fatto del mio meglio": me lo dico e sento grandi benefici».
Con sua madre, l'attrice Daria Nicolodi, era cominciata come compagne di bevute. Vero?
«Con mia madre ci siamo perdonate sul suo letto di morte. Il risentimento uccide. Liberarsene è la chiave per andare avanti altrimenti resti in un meccanismo atroce che impedisce l'evoluzione. Oggi certe brutte cose non definiscono quella che sono. Io ho perdonato lei e lei me di non essere stata una figlia migliore».
Lei ha figli che l'hanno molto aiutata ma dei quali non vuole parlare, ma un compagno ce l'ha?
«Non sono pronta e non lo cerco, non voglio distrazioni dal mio focus».
Che ora è soprattutto lavorativo giusto?
«Ho girato un film in Francia e un thriller in Belgio. I francesi sono sempre stati molto generosi con me. A breve ci sarà una retrospettiva sui miei film da regista alla Cinematheque francaise. E in Italia una serie su La storia di Elsa Morante. Sono felice, in Italia non lavoravo da anni. Stanno arrivando occasioni che oggi sono in grado di cogliere. Ho fatto chiarezza con me stessa. Faccio l'attrice da quando avevo 9 anni, non trovavo più il senso. Oggi dopo una pausa, ricomincio».
Lei usa molto i social. Altra dipendenza?
«Ora cerco di usarli molto meno. È positivo il fatto che quando ho bisogno di dire qualcosa posso parlare direttamente su Instagram, senza intermediari. Ma non cerco seguaci e non racconto la mia vita. In passato era una droga infantile, ora ne faccio un uso mediatico».
Il #Metoo l'ha rovinata?
«E perché mai? Faceva parte del mio cammino e mi ha fortificata. Era un periodo atroce e ho fatto il mio dovere. Così quell'uomo orribile (si riferisce all'allora potentissimo produttore Harvey Weinstein che lei accusò di abusi nei suoi confronti senza mai nominarlo, ndr) ora è in prigione. In questo modo ho aiutato altre donne».
In questi giorni sui giornali...
«Ho capito dove vuole andare a parare ma la prevengo: non dirò una parola su Johnny Depp e su Paul Haggis. Con il #Metoo si poteva fare di più ma c'è stata un'isteria collettiva che non ha aiutato».
Lei in che spera? Nel successo?
«Spero di arrivare al cuore delle persone».
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