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Marco Lillo per il “Fatto quotidiano”
Oggi alle 15 la Commissione Antimafia della Regione Siciliana pubblicherà la relazione conclusiva di 80 pagine sul depistaggio nelle indagini per la strage del 19 luglio 1992 nella quale sono stati uccisi il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta.
"La relazione è il primo tentativo di interrogarsi a livello politico sulle conseguenze delle rivelazioni di Gaspare Spatuzza sulla strage di via D'Amelio.
Dieci anni dopo era un passaggio necessario", spiega il presidente della Commissione regionale antimafia. Per Claudio Fava non basta processare i tre poliziotti ora a giudizio a Caltanissetta o prendersela con il loro capo ora scomparso, Arnaldo La Barbera, o con il procuratore Giovanni Tinebra, allora alla guida delle indagini sulle stragi a Caltanissetta.
Alla luce del vostro lavoro chi sono i responsabili ultimi del depistaggio?
Ci sono state più responsabilità che si sono cumulate. Il depistaggio è la somma di colpe e consapevolezze che attraversano la magistratura, le forze di Polizia e i servizi segreti. Il frutto di molte azioni, negazioni e omissioni.
I servizi segreti si sono impegnati nel depistaggio per celare i veri colpevoli? O è giusta la lettura minimimalista: Arnaldo La Barbera e alcuni uomini della sua squadra volevano fare carriera?
Abbiamo appurato una tale quantità di forzature, reticenze, omissioni che non si possono spiegare solo con la voglia di fare carriera. Questa mi pare una lettura di comodo.
E allora qual è la lettura corretta del più grande depistaggio del secolo?
PAOLO BORSELLINO - STRAGE DI VIA DAMELIO
Noi siamo arrivati alla conclusione che l'ipotesi di lavoro da seguire sia un' altra: la mano che ha accompagnato questo depistaggio potrebbe essere la stessa mano che ha organizzato la strage.
Quali sono gli indizi emersi dal lavoro della Commissione d' Inchiesta per sostenere questa tesi?
Il ruolo dei servizi segreti è assolutamente anomalo e si vede nelle immediatezze della strage del 19 luglio 1992 già in via D' Amelio con la sparizione dell' agenda rossa del giudice. Ma questo ruolo prosegue con una vera investitura ufficiale della Procura di Caltanissetta. Fa impressione un dato: tra Capaci e via D' amelio in 57 giorni non ci fu tempo e voglia di sentire Paolo Borsellino mentre fu coinvolto ufficialmente nelle indagini sulla strage di Capaci, Bruno Contrada.
Cosa avete appurato sul ruolo avuto dal Servizio Segreto in quei giorni?
La legge vietava oggi come allora il coinvolgimento dei servizi segreti nelle indagini.
Invece il procuratore Giovanni Tinebra coinvolse ufficialmente il Sisde del quale era numero tre allora Bruno Contrada. Senza tenere conto del fatto che Bruno Contrada era sospettato in quel periodo dai magistrati di Palermo per i suoi rapporti con la mafia (poi Contrada sarà condannato in Italia ma - in esecuzione di una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo - la condanna sarà revocata nel 2017 dalla Cassazione perché negli anni dei fatti, secondo la Cedu, il concorso esterno in associazione mafiosa non era abbastanza delineato nell' interpretazione giurisdizionale in Italia, Ndr). Sin dall'inizio l'intervento dei servizi è finalizzato al depistaggio.
In quali tracce vi siete imbattuti?
I primi atti di indagine prodotti dai servizi nell' ottobre del 1992 erano finalizzati a delineare un profilo criminale mafioso di Vincenzo Scarantino. Quel profilo contrastava con quanto tutti sapevano cioé che era un venditore di sigarette di contrabbando. Era il primo tassello. Poi è emerso un incontro conviviale, descritto con toni diversi dai testimoni, tra i dirigenti dei servizi e i dirigenti della Procura di Caltanissetta nel dicembre del 1992.
Fiammetta Borsellino ha posto 13 domande. Siete riusciti a dare una risposta alla figlia del giudice?
Le sue domande sono state come una guida nel nostro lavoro. Non siamo certamente riusciti a rispondere a tutte. Però l' importante è proseguire nel lavoro e continuare a fare le domande. Noi speriamo che la nostra relazione possa essere utile alla magistratura per andare avanti.
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