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“CARI BAMBINI DEL 2025, RIBELLATEVI A CHI VI VUOLE ETICHETTARE” – MARINO NIOLA SCRIVE UNA LETTERA AI NUOVI NATI DELLA GENERAZIONE BETA E NE APPROFITTA PER SVELENARE SUGLI ADULTI: “NON AVETE NEMMENO COMINCIATO A VIVERE CHE VI HANNO GIÀ ETICHETTATI. QUEST’ABBAGLIO PROIETTIVO È FIGLIO DELLA NOSTRA CIVILTÀ CHE HA NEUTRALIZZATO LA PROFONDITÀ DEL TEMPO PER INSTAURARE UN ETERNO PRESENTE. AL PUNTO DA CAPOVOLGERE IL SENSO STESSO DELLA STORIA. LA NOSTRA MODERNITÀ SI DOMANDA CONTINUAMENTE COME ANDRÀ A FINIRE. E IN QUESTO MODO, L’OGGETTO DELLA STORIA NON È PIÙ IL PASSATO MA IL FUTURO…”

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Estratto dell’articolo di Marino Niola per “la Repubblica”

 

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Cari ragazzi della Generazione Beta, non avete nemmeno cominciato a vivere che vi hanno già etichettati. O meglio brandizzati. Vi chiamano cuccioli del futuro perché la vostra ruota del tempo si è appena messa in movimento. Ma di fatto, il futuro che vi stanno cucendo addosso è solo una proiezione in avanti di quel presente in cui state per muovere i primi passi. Le generazioni che vi hanno preceduto, dai baby boomers ai millennials, fino alla Gen Z (i nati tra il 1997 e il 2012), il loro titolo se l’erano guadagnato a posteriori per quel che avevano vissuto e per come lo avevano vissuto. Mentre voi siete nati già classificati, avete già una storia di cui siete attori non protagonisti, ma che rischia di pesarvi addosso come un destino.

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Come una sorta di predestinazione. Che in realtà assomiglia piuttosto a una profilazione. All’individuazione di una tipologia di consumatori. In questo senso vi tocca la stessa sorte toccata a quelli della Generazione Alpha.

E come loro venite identificati soprattutto in funzione della vostra futura capacità di influenzare i comportamenti economici dei vostri genitori e, in prospettiva, dal potere d’acquisto autonomo che avrete entro pochi anni.

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Probabilmente e fortunatamente tutto questo straparlare su di voi non corrisponderà a quel che farete e sarete veramente. Infatti i sermoncini e pensierini che psicologizzano e pedagogizzano intorno a quel che fanno e pensano i figli sono più che altro un placebo per genitori sempre più smarriti dal testacoda generazionale che viviamo. E sono anche un mercato sempre più redditizio per i guru del counseling , che pontificano sulle passioni e sulle ossessioni dei ragazzi.

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Caricaturizzati da etichette riduttive come screenagers , una fauna umana di casa nella tecnologia, o social addicted , tiktoker compulsivi, in balia di influencer di ogni risma. Che oggi vengono demonizzati e fantasmatizzati molto al di là dei loro demeriti, come una volta lo erano i cattivi maestri.

In effetti questa tendenza ad anticipare i tempi, a ipotecare il futuro è l’ultima figlia della società del last minute. Ma in realtà ha le sue radici molto più lontano. E precisamente in quella civiltà del Decalogo da cui discende la nostra visione del mondo e della vita.

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[…] la nostra esigenza di classifiche nasce dal bisogno di dare ordine al mondo, di spiegarlo, di dargli senso. E dunque quel che conta non è la verità della classifica, ma è la sua stessa esistenza.

[…] quest’abbaglio proiettivo è figlio della nostra civiltà che ha progressivamente neutralizzato la profondità del tempo per instaurare un eterno presente. Al punto da capovolgere il senso stesso della storia. Gli antichi, infatti, si interrogavano sui fatti del passato per capire come si fosse prodotto il presente.

 

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La nostra modernità si domanda continuamente come andrà a finire. E in questo modo, l’oggetto della storia non è più il passato ma il futuro, non più lo studio delle cause ma la previsione degli effetti. È una forma di secolarizzazione dell’escatologia che diventa prima ideologia, poi utopia o distopia.

 

In principio è l’aspettativa della vita futura, poi del sol dell’avvenire, poi ancora dell’apocalisse ecologica o dell’eden sostenibile. Ma in ogni caso il dopo conta molto più del prima.

 

[…] Fino alla metà del Novecento, l’adolescenza era il tempo provvisorio dell’attesa, lo dice la parola stessa che deriva da adolescere , cioè diventare adulti, grandi, posati, con la testa sulle spalle.

Oggi adultizzarsi è sinonimo di adulterarsi. Ecco perché i ventenni di una volta sembravano i quarantenni di oggi. Mentre adesso sono i padri ad avere l’aspetto e l’outfit dei figli.

 

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In un orizzonte così fluido è davvero difficile pensare seriamente di sapere come sarete tra quindici o vent’anni. Anche se già vi stanno impacchettando e sdoganando come nativi artificiali, ovvero dei mutanti digitali. Dimenticando che la dipendenza tecnologica riguarda più gli adulti a disagio nella biosfera tecnologica e persi nel labirinto narcisistico dei social che non i cuccioli che, proprio in quanto nativi, ci insegnano un uso più equilibrato dei nuovi strumenti del comunicare, intelligenza artificiale compresa. E allora il miglior benvenuto che si può dare ai ragazzi della Generazione Beta è quello di non farsi contagiare dalle nostre paure. E di diffidare di chi si occupa di loro.

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