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1.CASELLI VITTIMA DEL SUO FANTARACCONTO
Da “Il Foglio”
Il film “La trattativa” di Sabina Guzzanti, con la sua versione faziosa e fantasiosa delle relazioni tra stato e mafia, sarebbe dovuto piacere sicuramente a Gian Carlo Caselli, che dai tempi del fantaprocesso contro Giulio Andreotti si è caratterizzato come il capofila di questa sorta di super-genere narrativo manettaro. Però il film presenta la figura di Caselli in modo ambiguo, indirettamente insinuando che abbia chiuso gli occhi davanti alla (presunta) azione di depistaggio del Ros palermitano.
sabina guzzanti nuovo film "la trattativa"
Così Caselli ha cominciato a tempestare di lettere risentite i vari organi di stampa che si sono occupati di questo aspetto particolare della realtà romanzesca inscenata dalla Guzzanti (che secondo Caselli avrebbe utilizzato una “tecnica da cabaret per raccontare la pagina grave e oscura come la mancata perquisizione del covo”). Magari non ha torto.
Ma naturalmente per Caselli è farsa cabarettistica solo ciò che lo riguarda, perché pensa altresì di meritare non insinuazioni, ma solo il pieno riconoscimento: per merito suo è avvenuto che “la democrazia italiana non si trasformasse in uno statomafia e in narco-stato”, come scrive testualmente e senza tema di ridicolo nell’ennesima autoesaltazione polemica, questa volta in una missiva al Corriere della Sera.
Se l’azione controversa di Caselli abbia davvero assestato colpi decisivi alla criminalità organizzata, o se la sua ossessione di implicarvi soggetti politici di primo piano abbia in realtà ostacolato quella lotta, lo deciderà la storia. Non la Guzzanti, ma nemmeno Caselli stesso. In ogni caso vantare meriti per smontare le critiche è un mezzuccio retorico abusato che mette l’ex procuratore al livello della Guzzanti. Se gli fa piacere.
2.DA CASELLI A CASELLI
Filippo Facci per "Libero Quotidiano"
Eccoci ancora una volta a elogiare Giancarlo Caselli: è il caso che cominci a preoccuparsi. Il punto è che non serve condividere certe sue erronee condotte del passato (erronee secondo noi) per accorgersi che nell'ultimo anno non ne ha sbagliata una, e, soprattutto, accorgersi che se n'è fregato del conformismo giustizialista e mafiologico dei giornali dove scrive. Nell'ultimo anno Caselli ha apprezzato la legge sul voto di scambio in barba alle scimmie urlatrici dei Cinque Stelle, e ha perciò deprecato, parole sue, «le obiezioni di un paio di magistrati, subito trasformate in rivolta dei pm»;
Caselli è stato il primo a prospettare una matrice terroristica negli attentati in Valsusa, e ha mandato a quel paese Magistratura Democratica dopo che aveva lasciato spazio allo scrittore Erri De Luca, già solidale coi boicottaggi; e ora, giustamente, Caselli si ribella al docu-finto di Sabina Guzzanti titolato Latrattativa (scritto così, gli errori cominciano dal titolo) in cui lui viene tratteggiato come un beota vanesio che si fece gabbare dal colonnello Mori e dal capitano Ultimo (cosa non vera) e che fu quindi indirettamente corresponsabile della mancata perquisizione del covo di Totò Riina.
«Una tecnica da cabaret», l'ha definita Caselli rivolto a chi di cabaret in effetti si occupa. Nelle stesse pagine, a proposito, Marco Travaglio definiva Caselli, dopo dodicimila distinguo, come «il capo dei gabbati». E forse ha ragione, vista la sòla irriconoscente che sta tirando al suo ex amico.
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