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Alessandra Dal Monte per il Corriere della Sera
La soia, nello spazio, potrebbe essere la nuova carne. Fonte di proteine, versatile - bastano pochi passaggi per ottenere, dai suoi semi, latte e farina - è una delle piante più promettenti per la vita extraterrestre. Già: che sia su Marte o sulla Luna, sulle navicelle spaziali o sulle stazioni orbitanti, è chiaro che la sopravvivenza fuori dalla Terra dovrà passare dall' agricoltura.
«L' obiettivo a cui tutte le agenzie spaziali stanno lavorando è l' esplorazione umana di Marte - spiega Veronica De Micco, docente di Botanica ambientale e applicata all' Università degli studi di Napoli Federico II e ospite, ieri, della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli nell' ambito della «Milano Food City» -. Una missione del genere durerebbe da uno a tre anni, perciò gli astronauti non potrebbero ricevere rifornimenti di ossigeno, acqua e cibo come avviene adesso. Ecco perché, in tutto il mondo, si cerca di capire come coltivare sui veicoli spaziali, sulle stazioni orbitanti e poi, naturalmente, sul pianeta rosso».
Insomma, se si immagina la serra improvvisata da Matt Damon-astronauta nel film The Martian non si sbaglia di molto. Diciamo che nella pellicola hanno un po' sottovalutato le radiazioni cosmiche: «Su Marte sono fortissime, perciò stiamo ipotizzando delle serre sotterranee, da realizzare sotto la regolite, il suolo marziano». Le colture al vaglio? Oltre alla soia, patate, pomodori, frumento, ortaggi da foglia (spinaci e lattughe).
una scena del film the martian
«Una dieta equilibrata è fondamentale, ancor di più nello spazio dove il corpo è sottoposto a tanti stress - continua De Micco -. Le specie da coltivare devono garantire la giusta quantità di carboidrati, proteine, vitamine, minerali, antiossidanti e lipidi. E poi ci sono i germinelli, i semi germinati di pochi giorni, perfetti per lo spazio: sono pronti in fretta e si mangiano subito».
Sembra fantascienza invece è realtà. Concretissima: il team, tutto al femminile, del dipartimento di Agraria - che oltre a Veronica De Micco include le professoresse Stefania De Pascale, Giovanna Aronne e Roberta Paradiso - studia lo «space farming» da oltre 20 anni ed è tra quelli più all' avanguardia nel settore. Le docenti, a Napoli, testano le loro ipotesi direttamente in serre che simulano le condizioni extraterrestri, hanno progetti aperti con l' agenzia spaziale italiana (Asi), con quella europea (Esa) - nell' ambito di Melissa, il programma che riunisce alcuni «agro-scienziati» - e con la Nasa, come per esempio «Multi-trop», un esperimento che punta a capire quali stimoli possono orientare le radici delle piante in assenza di gravità.
matt damon su marte nel film the martian
A luglio anche l' astronauta Paolo Nespoli vi prenderà parte a bordo della Stazione spaziale internazionale: «Le radici - dice De Micco - sono uno dei problemi principali: bisogna trovare il modo di orientarle verso il "suolo", o meglio verso i "substrati" che fanno le sue veci nelle serre spaziali».
Produrre cibo fuori dalla Terra è la sfida del futuro. In gergo si dice «creare sistemi biogenerativi di supporto alla vita nello spazio» . «Si tratta di ecosistemi artificiali dove le piante hanno un ruolo chiave, quello di rinnovare le risorse: producono ossigeno, rigenerano l' acqua, riciclano i rifiuti dell' equipaggio e aiutano gli astronauti dal punto di vista psicologico perché attenuano lo stress da isolamento». Proprio come la natura sulla Terra.
Dunque, pronti? Ci aspetta un futuro da (tecno)contadini.
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