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LA CINA DOMINERÀ IL SETTORE DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE? DIFFICILE, SE NON IMPOSSIBILE – NONOSTANTE I NUMEROSI INVESTIMENTI, È IMPROBABILE CHE IL DRAGONE RIESCA A COLMARE IL DIVARIO CON L’OCCIDENTE NELLA CORSA ALL’IA – IL MOTIVO? IL CONTROLLO PERVASIVO DEL PARTITO COMUNISTA CINESE LIMITA L’INNOVAZIONE E LA COMPETIZIONE NEL PAESE, BLOCCANDO L’INTERO SETTORE TECNOLOGICO – NON SOLO: PECHINO È IN RITARDO NELLA COSTRUZIONE DI INFRASTRUTTURE PER L’IA…
Sintesi dell’articolo di Di Guo e Chenggang Xu, rispettivamente visiting scholar e ricercatore senior presso lo Stanford Center on Chinese Economics and Institutions, per “Le Monde”
xi jinping la cina e l intelligenza artificiale
L’intelligenza artificiale è ormai riconosciuta come la tecnologia cardine della nuova rivoluzione industriale, destinata a rimodellare l’economia globale, la scienza, l’innovazione militare e gli equilibri geopolitici. In una lunga analisi pubblicata su “Le Monde”, gli economisti Di Guo e Chenggang Xu, rispettivamente visiting scholar e ricercatore senior presso lo Stanford Center on Chinese Economics and Institutions, mettono in discussione l’idea sempre più diffusa secondo cui la Cina sarebbe ormai prossima a colmare il divario con l’Occidente nella corsa all’IA.
Il contesto è quello di una crescita esplosiva del settore: secondo stime prudenti delle Nazioni Unite, il mercato globale dell’IA potrebbe raggiungere i 5.000 miliardi di dollari entro il 2033, mentre il Fondo monetario internazionale prevede un impatto sul PIL mondiale pari al 4% nel prossimo decennio. In questo quadro, la competizione tecnologica si sovrappone sempre più a quella geopolitica, trasformando l’IA in uno strumento di potere globale.
la partita dell ia la giocano usa e cina 1
È in questo clima che, all’inizio del 2025, il lancio del chatbot della start-up cinese DeepSeek ha suscitato grande clamore mediatico, arrivando a essere definito un possibile “momento Sputnik” per Pechino.
Ma, avvertono Guo e Xu, l’effetto simbolico non va confuso con una reale svolta strutturale. Nessuna rivoluzione industriale, ricordano, è mai nata al di fuori di economie avanzate fondate su istituzioni capitalistiche democratiche solide, capaci di garantire diritti di proprietà, certezza dei contratti, attrazione dei talenti, allocazione efficiente delle risorse e una domanda interna robusta. Proprio quest’ultimo elemento manca oggi alla Cina.
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Il controllo pervasivo del Partito comunista cinese su tribunali, mercati, università, media e imprese consente allo Stato di mobilitare rapidamente risorse e di produrre singole eccellenze tecnologiche. Ma una rivoluzione industriale non si basa su successi isolati: richiede una sequenza continua di innovazioni tecnologiche, organizzative e istituzionali che si rafforzano a vicenda. In questo senso, il modello cinese resta strutturalmente limitante.
Il ritardo emerge con particolare chiarezza analizzando i tre pilastri dell’IA: potenza di calcolo, algoritmi e dati. La potenza di calcolo è il fattore decisivo, e qui il divario è enorme: gli Stati Uniti controllano circa il 75% della capacità globale di calcolo per l’IA, contro appena il 15% della Cina. Un gap che continua ad ampliarsi, anche a causa degli embarghi occidentali sui chip avanzati e delle crescenti difficoltà di finanziamento interne.
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Lo stesso squilibrio si riflette nel cloud computing, infrastruttura essenziale per i servizi di IA: i grandi operatori statunitensi dominano il mercato globale, mentre quelli cinesi restano marginali. Sul fronte algoritmico, l’open source permette a Pechino di ridurre parzialmente il divario, come dimostra DeepSeek, ma non di invertire i rapporti di forza: l’impatto sui mercati è stato effimero, mentre i modelli americani continuano a migliorare rapidamente.
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Infine, pesa il contesto macroeconomico cinese, segnato da bassa domanda, sovraccapacità produttiva, disoccupazione e deflazione persistente. Un quadro incompatibile con una rivoluzione industriale trainata dall’IA. L’automazione non risolve questi squilibri e il massiccio ricorso al debito pubblico per sostenere il settore tecnologico rischia anzi di accentuarli. Il “momento DeepSeek”, concludono Guo e Xu, può catturare l’attenzione globale, ma non equivale a una svolta storica: il ritardo della Cina nell’IA resta profondo, strutturale e difficilmente colmabile senza un cambiamento radicale del suo modello economico e istituzionale.
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