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Stefano Montefiori per www.corriere.it
Dopo cinque settimane di processo, sono bastate cinque ore ai giurati della corte di assise di Aix-en-Provence per riconoscere colpevoli otto imputati tra i quali Wijciech Janowski, genero della vittima, condannato all’ergastolo per avere organizzato l’omicidio della miliardaria monegasca Hélène Pastor il 6 maggio 2014 a Nizza.
L’agguato
Hélène Pastor, 77 anni, nipote dello scalpellino ligure Jean-Baptiste Pastor che fondò a Montecarlo la seconda famiglia più importante del Principato dopo i Grimaldi, era andata a trovare il figlio Gildo Pallanco Pastor, ricoverato all’ospedale Archet di Nizza dopo un malore cerebrale.
All’uscita la signora Pastor, una delle donne più ricche del Principato, era salita sulla Lancia Voyager guidata dal maggiordomo, Mohammed Darwich, 54 anni. Un uomo a volto scoperto aveva fatto fuoco più volte, ferendo gravemente la donna e il suo collaboratore, entrambi morti dopo alcuni giorni di agonia.
Le indagini
All’inizio era un delitto misterioso, non si riusciva a immaginare il movente. Ma non c’è voluto molto a risalire almeno agli esecutori materiali, reclutati nei quartieri nord di Marsiglia, che non si sono dimostrati certo dei professionisti. Hanno lasciato tracce di Dna nella doccia dell’hotel di Nizza usato come base prima di entrare in azione, non si sono cambiati d’abito dopo avere sparato ed essere stati ripresi dalle telecamere di sorveglianza, sono tornati a Marsiglia in taxi e non si sono sbarazzati delle schede dei telefonini.
Una volta arrestati i sicari, è stato facile individuare chi li aveva ingaggiati, ovvero Pascal Dauriac, personal coach di Sylvia Pastor, figlia della vittima, e del suo compagno Wojciech Janowski.
L’imputato numero uno
wojciech janowski e sylvia pastor
Uomo d’affari di dubbia fama, console onorario della Polonia nel Principato di Monaco, Wojciech Janowski è un ex croupier oggi 69enne che trent’anni fa aveva conquistato il miglior partito di Montecarlo, Sylvia Pastor, erede da poco divorziata della dinastia più ricca del Principato. Sylvia e Wojciech hanno anche avuto una figlia, ma non si sono mai sposati per l’opposizione dei Pastor che non stimavano quel faccendiere. Non avevano tutti i torti.
L’eredità
L’impero dei Pastor è nato dall’intuizione di uno dei figli di Jean-Baptiste, Gildo, padre di Hélène, che comprò a prezzo relativamente basso tutti i terreni della zona di Larvotto, allora disabitata. Quando poi il principe Ranieri ha dato il permesso di costruire grattacieli con vista sul mare, la fortuna dei Pastor è diventata gigantesca. Hanno sempre cercato di restare proprietari degli immobili e di cederli solo in affitto: così, secondo stime non confermate, posseggono un terzo di tutti gli immobili del Principato, e nel 1990 si sono spartiti mezzo milione di metri quadrati. Hélène Pastor, ricchissima ma per niente mondana, occupava il suo tempo riscuotendo gli affitti e portando a passeggio il cane senza scorta. Wojciech Janowski ha pensato di sbarazzarsi di una donna che lo disprezzava, e di godere indirettamente dell’eredità che sarebbe andata alla compagna Sylvia Pastor.
Il processo
In un primo tempo, mentre era in custodia cautelare, Janowski ha confessato di avere organizzato l’agguato. Poi ha ritrattato, dicendo di avere scarsa padronanza del francese (circostanza poco credibile visto che da trent’anni abita nel Principato). In aula è apparso arrogante, ha proclamato la sua innocenza quasi sfidando la corte, «tanto non avete le prove». Insomma un disastro tale che il suo avvocato, il principe del foro Eric Dupont-Moretti, due giorni fa nell’arringa finale ha tentato il colpo di scena: «Il mio cliente è colpevole di avere ordinato l’assassinio della suocera, Hélène Pastor. Condannatelo per quello, ma non per la morte del maggiordomo, che è stata accidentale, provocata dai sicari». L’avvocato sperava di ottenere una pena più mite con una condanna per un solo omicidio. Non ci è riuscito, Janowski è stato ritenuto responsabile di tutto e condannato all’ergastolo. Gli avvocati hanno già annunciato che ricorreranno in appello.
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