DAGOREPORT - TONY EFFE VIA DAL CONCERTO DI CAPODANNO A ROMA PER I TESTI “VIOLENTI E MISOGINI”? MA…
Graziella Melina per “il Messaggero”
I dati dei contagi di Milano aumentano in modo esponenziale. Tra chi sta in corsia, la paura che la prossima settimana la situazione possa precipitare è davvero tanta. Persino Massimo Galli, direttore di Malattie infettive dell'ospedale Luigi Sacco di Milano, uno che di certo non si abbandona allo scoramento - e infatti tiene subito a precisare «cerco di mantenere una obiettività» - alla fine però ammette: «E' chiaro che stando in ospedale, ti può venire da dire che è un disastro. In questo momento c'è profonda stanchezza e crisi anche dal punto di vista del personale. É giù di morale. Vedersi di nuovo davanti questo déjà vu, insomma, non è facile».
Anche al Sacco siete in emergenza?
«Abbiamo portato a più di 330 i posti letto di recettività per Covid, il che vuole dire che abbiamo chiuso per intero l'attività di reparti che normalmente assistono tutt' altro. É già una sofferenza che ci sia una medicina Covid dove prima c'era l'ortopedia».
coronavirus ospedale di varese 4
Le nuove misure di contenimento nazionale arriveranno forse tra una settimana?
«Credo che attendere una o due settimane per decidere ulteriori restrizioni sia un rischio. Le infezioni sono già avvenute e ci porteranno comunque un carico di ricoveri, di posti di rianimazione da occupare e purtroppo anche di decessi piuttosto prevedibile. Il punto è che qui stiamo giocando sul crinale dell'ulteriore esplosione dell'infezione.
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Se la scommessa che è stata fatta con i provvedimenti che sono stati adottati è vincente, tra 15 giorni ci potrà essere un'inversione di tendenza. Sennò non ci saranno alternative, e comunque il prezzo da pagare sarà ancora più alto».
Servirebbe subito una chiusura a livello regionale?
«No, non abbiamo la certezza che un lockdown locale funzioni. Se circoscrive alcune località che implicano un numero di abitanti ragionevolmente limitato, è un conto. Ma circoscrivere una grande area metropolitana e chiudere completamente solo lì, riuscendo a fare un lockdown semitotale simile a quello già avuto, dal punto di vista dell'efficacia dei risultati è un punto interrogativo».
GIUSEPPE CONTE ROBERTO SPERANZA
Quindi non è una buona soluzione?
«Vorrei avere maggiori certezze sul fatto che lo sia. Sono problematiche su cui intervieni in maniera necessariamente sperimentale e non abbiamo mai fatto niente di simile in una situazione comparabile».
E allora le zone rosse?
«Sono zone di 4 cittadine, con un numero di abitanti limitati della loro possibilità di muoversi. Non sono un milione e 200mila abitanti della città di Milano e nemmeno quelli della città di Napoli, che devi comunque interpretare come area metropolitana vasta, perché ogni giorno le persone entrano ed escono per motivi di lavoro tra un'area che verrebbe chiusa e una invece aperta. È evidente che c'è un'enorme difficoltà nel pensare di gestire una cosa di questo genere».
Non abbiamo altre alternative se non il lockdown generale?
«Temo che si sia di fronte alla necessità di decisioni importanti e che siano da considerare abbastanza imminenti. La situazione è sicuramente pericolosa».
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Più di marzo?
«Prima, da un momento all'altro ci si è trovati di fronte ad un'ondata di piena, adesso stiamo osservando la crescita di un fenomeno che possiamo misurare e in alcune entità possiamo prevedere. Di conseguenza, a questo punto dobbiamo decidere che provvedimenti vanno presi, e sono ovviamente provvedimenti tardivi.
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Stiamo sempre dietro il virus, non davanti. Lo stiamo sempre inseguendo e non sono neanche bastati gli esempi di altri Paesi a noi vicini, come la Francia che sta molto peggio di noi e che è arrivata a determinate conclusioni più o meno tardivamente».
Quanto tempo di chiusura potrebbe servire?
«La volta scorsa per farcela ci sono voluti due mesi. Questa situazione che stiamo vivendo adesso ipoteticamente potrebbe essere contenibile forse con un tempo minore. Ma non so quanto».
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