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Daniela Ranieri per il “Fatto quotidiano”
Da un po’ di giorni, nella colonnina di destra di Repubblica. it – dove si raggrumano tutte le ossessioni più scabrosette, i crucci più ridicoli e i tormentoni più patetici della comunità compulsiva e iperinformata di Internet – compare una galleria di foto di “passeggeri maleducati” a cura di una misteriosa hostess di volo, titolare di account Instagram intitolato “Vergogne del viaggiatore”.
In quella parte dello schermo sfuggita chissà come a una fenomenologia di Umberto Eco, tra un video di gattini e l’elenco dei “28 oggetti che puliscono per te”, il giornale ospita per la seconda estate di seguito la vivace denuncia, al fine di rendere conto del “calvario a cui è sottoposto il personale di volo, con la speranza di far cessare questi deplorevoli comportamenti dei passeggeri”. Infatti, pare, “a un anno di distanza le scene si ripetono e se possibile i viaggiatori sono diventati ancora più maleducati, a giudicare dalle foto”.
E vediamole, queste foto. L’arditezza delle inquadrature dimostra in effetti dove può arrivare l’inverecondia altrui: piedi nudi appoggiati sul sedile davanti, alluci valghi vicino al carrello dei cibi, pance scoperte sotto la security belt, e poi corpi sdraiati, coricati, bocconi, ritratti nelle pose indecorose e sguaiate in cui a volte il sonno ci prende in pubblico, specie quelli tra noi più carenti di Super-Io. La inflessibile censora non si fa mancare il bambino nel trolley scoperto dai raggi X alla frontiera di Ceuta: deve esserle sembrato sommamente ineducato mettere un bimbo in valigia.
Ora, a noi italiani niente ci piace come infierire masochisticamente sui comportamenti screanzati dei nostri connazionali all’estero, nella convinzione che gli italiani siano sempre gli altri e non noi stessi (in Andata e ritorno di Indro Montanelli due compagni di scompartimento, taciturni fino a Domodossola, appena messo piede in Svizzera cominciano a fare l’elogio dell’educazione degli indigeni, salvo poi al ritorno abbandonarsi alla celebrazione della più smodata e provinciale joie de vivre degli italiani).
Ma al contempo vogliamo avere la rassicurante certezza che tutto il mondo è il nostro Paese, e che se le nostre linde città d’arte e le nostre incontaminate coste versano in stato di abbandono la colpa è principalmente del turismo trash che urta il comune senso del pudore.
A onor del vero, la galleria rende conto dell’evidenza che tra i sedili di un Boeing viaggiano tanti cafoni italiani quanti norvegesi o australiani, anche se, per somma felicità del ceto medio riflessivo, si tratta per lo più di quel genere transnazionale di poveracci che affollano i McDonald’s e viaggiano low cost – e infatti l’unica foto di ricco zotico privo di scarpe è accompagnata dalla didascalia “Nemmeno la prima classe della Emirates è immune :(”, e vabbè.
L’anno scorso i due turisti italiani nudi per le vie di Barcellona sturarono fiumi di indignazione e editoriali sbigottiti da parte di chi pensava di avere almeno un po’ educato il popolo e si trovava a doverlo ancora una volta sanzionare a mezzo stampa. Repubblica aderì alla crociata dei residenti di Gallipoli contro i turisti colpevoli di mangiare, defecare e amoreggiare in spiaggia e perciò immortalati da civili e solerti cittadini appostati nelle loro case con teleobiettivi ad alta definizione.
Michele Serra si lamentava di quelli che parlano ad alta voce al ristorante e indicava nell’Italia un Paese che “ha consumato il percorso della libertà ben oltre il traguardo”, tanto da far desiderare di contenere o bandire il “burino arrembante e il trucido invadente”, gli stessi che l’hostess diligente sta infatti lì a eternare nel momento della loro colpa. L’estate apre il boccaporto dello scandalo.
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Constatare che nel mondo c’è tanta gente che non si cura di mettere in scena l’indecente opulenza delle proprie carni o appendici è consolatorio, e l’attrattiva ipnotizzante della galleria di Repubblica. it sta nella capacità di titillare la nostra indignazione codina. E però c’è qualcosa che disturba, qualcosa di mortifero in questa galleria di mostri che vuole essere divertente ma è censoria, ed è l’ombra della disapprovazione estetica ancor più che del giudizio morale.
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A un certo punto, tutto sommato, si finisce per fare il tifo per i cafoni, e ci si domanda se sia peggio quello che si scaccola, si gratta il culo o si palpa i testicoli in pubblico – il trucido invadente e il burino arrembante, insomma - o il vo - yeur educatore il cui occhio non puro veglia su di lui, pronto a giudicarlo, a scattargli fotografie e a punirlo via web per il subdolo e meschino piacere del disconoscimento.
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