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Michela Allegri e Alessia Marani per “il Messaggero”
Gli striscioni appesi fuori dal tribunale di piazzale Clodio, l' aula della prima Corte di Assise di Roma riempita dal banco degli imputati fino alle porte. Poi, i giudici che escono, dopo tre ore di camera di consiglio. Le mani strette dei parenti, degli amici, dei genitori. Il fiato sospeso. «Antonio Ciontoli condannato a 14 anni» per l' omicidio volontario di Marco Vannini, scandisce il presidente, che concede le attenuanti generiche e diminuisce di 7 anni la richiesta della Procura. «Vergogna, sono troppo pochi», l' eco dall' aula.
«Maria Pezzillo - la moglie - Martina e Federico Ciontoli - i figli - condannati a 3 anni per omicidio colposo». La ricostruzione della Procura di Civitavecchia che per tutta la famiglia Ciontoli aveva chiesto una pesante condanna per concorso in omicidio volontario, si sgretola di fronte al dispositivo letto dalla Corte. Il capofamiglia, Antonio, sottufficiale della Marina Militare, ex agente segreto («un servitore dello Stato», come hanno tenuto a ribadire anche ieri nelle repliche i suoi legali), tre anni fa aveva sparato a Vannini, fidanzato di sua figlia Martina, mentre si trovava nella vasca da bagno. Un colpo esploso per errore, perché pensava che la pistola d' ordinanza fosse scarica.
Poi, insieme alla moglie e ai figli aveva ritardato i soccorsi, mentendo. Prima ai paramedici del 118 - «un ragazzo ha avuto un attacco di panico», «è caduto in bagno e si è fatto un buchino sul braccio con un pettine» - poi agli infermieri. Al Poliambulatorio di Ladispoli, mentre il giovane stava morendo, Antonio Ciontoli, addirittura, «riferiva al medico di guardia che il ragazzo era stato colpito con un' arma da fuoco, invitandolo a falsificare il referto», è scritto nel capo di imputazione. L' uomo è stato condannato anche per omessa custodia dell' arma.
Dopo la lettura della sentenza, i familiari non trattengono lo sdegno e le lacrime. «Mi vergogno di essere una cittadina italiana - grida mamma Marina Conte - aveva solo vent' anni. Così me l' avete ammazzato due volte». La pm Alessandra D' Amore aveva sollecitato una condanna a 21 anni per il capofamiglia, e a 14 anni per la moglie e i figli. Altri due anni erano stati chiesti per Viola Giorgini, fidanzata di Federico Ciontoli. Accusata di omissione di soccorso, è stata assolta. I giudici hanno anche disposto una provvisionale da 400mila euro in favore dei genitori della vittima, assistiti dal professore Franco Coppi.
Ladispoli, 17 maggio del 2015.
Vannini è a casa della fidanzata, in via De Gasperi. Alle 23,15 Antonio Ciontoli impugna la sua Beretta semiautomatica. Pensa che l' arma sia scarica, preme il grilletto. «Ho fatto una grossa stupidata - dirà a processo - Mi aveva chiesto di mostrargli due pistole, ma sono scivolato e ho fatto partire un colpo». Il proiettile si conficca nel braccio destro di Vannini, attraversa il polmone, raggiunge il cuore. Alle 23,45 Federico Ciontoli chiama il 118. Dice che un ragazzo ha avuto un attacco di panico e non riesce a respirare.
Passa il telefono alla madre, Maria Pezzillo: «Si è ripreso, annulliamo la richiesta di intervento». Poco dopo mezzanotte, Antonio Ciontoli richiama il 118: «Il ragazzo ha avuto un infortunio mentre era nella vasca da bagno, si è ferito con un pettine ed è andato in panico». L' ambulanza arriva a mezzanotte e 23 minuti. A bordo non c' è un medico, ma solo un' infermiera.
Dieci minuti dopo, al Poliambulatorio di Ladispoli, Vannini è in condizioni critiche. Ciontoli dice al medico di guardia che è stato colpito da un proiettile e lo prega di falsificare la cartella clinica. Arriva l' elisoccorso, Vannini viene trasportato in codice rosso al policlinico Gemelli, morirà durante il tragitto. Martina da allora si è laureata e oggi lavora proprio come infermiera sulle ambulanze. Tutta la famiglia Ciontoli si è trasferita altrove. Ieri, nessuno degli imputati era in aula.
Nel ritardo dei soccorsi c' è tutto il dramma dei Vannini. «Sono convinto che ci sia un' altra verità che mai sapremo», confida papà Valerio Vannini. Che si sfoga: «Troppe bugie e omissioni - dice - Quando ho sentito l' audio della chiamata al 118 sono morto con mio figlio. Lui gridava, invocava mamma, loro invece si preoccupavano di cancellare le impronte sulle armi, dove non è stata trovata traccia di sangue o dna. Marco stava morendo e loro pensavano a come aggiustare le cose. Gli unici condannati all' ergastolo del dolore siamo solo mia moglie e io, perché solo noi sappiamo che cosa significa tornare la sera a casa, chiuderci la porta alle spalle e sentire tutto il vuoto lasciato dal nostro unico figlio».
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