DOMANDE SPARSE SUL CASO ALMASRI – CON QUALE AUTORIZZAZIONE IL TORTURATORE LIBICO VIAGGIAVA…
Paolo Travisi per www.leggo.it
Un delitto tra i più efferati degli ultimi anni. Un omicidio che si è depositato nell’immaginario collettivo. Due giovani apparentemente normali si incontrano e diventano assassini di una vittima scelta a caso, come la pallina di una roulette.
Marco Prato e Manuel Foffo consumano l’orrore e uccidono Luca Varani. Accadeva nel marzo 2016, nel quartiere Collatino, a Roma. Lo scrittore Nicola Lagioia ha ricostruito gli eventi in modo maniacale, compiendo un viaggio indagatorio su come la normalità possa trasformarsi in un atto diabolico.
La sua ossessione per una storia senza lieto fine, è diventata un libro di successo, La città dei vivi, poi un podcast (prodotto da Chora Media) tra i più ascoltati ed anche un live teatrale. Una storia che diventerà una serie tv: Sky sta lavorando al progetto.
MARCO PRATO - LUCA VARANI - MANUEL FOFFO
Lagioia, perché ha trasformato il libro in un racconto orale, un podcast?
«La voce tradisce molte sfumature emotive, ti inchioda più delle immagini. Il podcast è uno strumento di racconto le cui forme non sono state del tutto codificate, come le serie tv prima dell’algoritmo di Netflix, per cui si è liberi nel rigore della storia».
Una storia che continua ad attirare, dopo 5 anni.
NICOLA LAGIOIA - LA CITTA DEI VIVI
«Tantissimo, e non c’entra la morbosità. Anzi, su Instagram ricevo centinaia di messaggi che sottolineano che la storia viene raccontata senza cadere nella morbosità. Il mio obiettivo era compiere un’indagine sull’animo umano e sulla città, per comprendere, ma senza giudicare. Ci sono anche le voci di Manuel Foffo, condannato a 30 anni e Marco Prato, suicidatosi prima del processo».
Le voci che cosa aggiungono?
«Quando si ascolta Foffo parlare col pm nello stesso giorno in cui ha confessato l’omicidio, dalla voce si capiscono le sue emozioni. Il nostro modo di parlare racconta lo stato d’animo».
Nel libro evoca anche la presenza del demonio. Poi ha lasciato cadere quella traccia, perché?
«Immaginare il male come possessione è un concetto interessante, anche se non interpretato in termini cristiani, ma secondo una tesi darwiniana. Gli umani hanno sempre usato la violenza come sopravvivenza della specie, la civiltà ci ha affrancato, ma il cambiamento biologico impiega più tempo per sbarazzarci del tutto da quella violenza originaria».
Ha lavorato per anni a questa storia. È riuscito ad allontanarsene?
«Sì, me ne sono liberato, mi ha protetto la tecnica del racconto, un’armatura, come fanno gli attori quando interpretano un ruolo difficile».
Accetterebbe di farne una serie tv?
«Sky ha comprato i diritti tv del libro. Ci stanno lavorando e valutando una mia collaborazione».
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