DAGOREPORT - TONY EFFE VIA DAL CONCERTO DI CAPODANNO A ROMA PER I TESTI “VIOLENTI E MISOGINI”? MA…
Estratto dell'articolo da www.ansa.it
La prima delle sette giornate elettorali previste in India fino all'1 giugno si è conclusa ieri con un'affluenza del 62%: sono stati assegnati così 102 dei 543 seggi della Lok Sabha, il Parlamento indiano. Secondo la Commissione elettorale, sono stati segnalati episodi di violenza nello Stato nordorientale del Manipur, dove gruppi di uomini armati hanno sfidato la presenza degli agenti di sicurezza circondando i seggi e facendo fuggire le persone che attendevano di votare.
Momenti di tensione anche in Bengala Occidentale, dove ai seggi sono stati registrati 460 denunce di assalti, intimidazioni e violenze nei confronti degli elettori. Tutti i seggi di sei distretti nordorientali dello stato del Nagaland sono invece rimasti deserti: nessun elettore si è presentato, aderendo all'invito al boicottaggio lanciato dalla Eastern Naga Peoples's Organisation. La prossima tornata elettorale si svolgerà il 26 aprile.
Le elezioni in India per la Lok Sabha, la Camera Bassa del Parlamento indiano, che sceglie il premier […] si protrarranno, in sette fasi, fino al 1 di giugno. Saranno le più grandi e più lunghe che il mondo abbia mai conosciuto, un mese e mezzo. Con i risultati resi noti il 4 di giugno grazie alle EVM, i congegni elettronici che sostituiscono le schede e che comunicano in poche ore al calcolatore centrale le scelte politiche di quasi un miliardo di elettori. Secondo la Commissione Elettorale, sono quasi 970 milioni gli aventi diritto al voto.
Tra loro, i neomaggiorenni, la new entry che costituisce una delle incognite più interessanti; anche se, dei quasi due milioni dei nuovi aventi diritto al voto, solo il 40% si è registrato, con percentuali ancora più basse negli stati più popolosi. Per garantire il diritto di voto sono pronti a muoversi 15 milioni tra dipendenti del governo e agenti delle forze di sicurezza. Il mantra dei funzionari elettorali è "nessuno escluso", ed è già entrato nel mito il trekking di 40 chilometri che un team di funzionari affronterà nello stato dell'Arunachal Pradesh per raggiungere la sola votante di un remoto villaggio.
Il risultato è dato largamente per scontato: gli indiani consacreranno, per il terzo mandato, il Bjp, Bharatiya Janata Party, e il Premier Modi. Che, sempre più sicuro di sé, si dichiara certo che dai 303 seggi del 2019 il suo partito balzerà ai 400. Da solo. Senza bisogno dell'apporto degli alleati. Anche se il risultato definitivo non sarà così schiacciante, non c'è analista che non preveda la vittoria di Modi. La coalizione dei ventotto partiti di opposizione I.n.d.i.a., nata nel 2023 sotto la leadership del partito del Congresso, scricchiola già per fratture, defezioni, decisioni last minute di presentarsi da soli. E il sistema maggioritario uninominale ad un solo turno, in cui vince il candidato che prende più voti, non premia le coalizioni.
Il Congresso, che nel 2019 si era dovuto accontentare di 52 seggi, ha perso ulteriormente smalto; nonostante l'impegno di Rahul Gandhi, che tutti gli analisti riconoscono maturato politicamente, con i suoi richiami alla forte disoccupazione giovanile, soprattutto tra i diplomati e laureati, con le accuse per l'ingente mole di finanziamenti incanalati verso il partito del Premier, e con le grida di allarme per la fine della democrazia e il rischio della cancellazione della Costituzione, il Congresso non riesce a contrastare la marcia trionfale di Modi.
Mentre le altre forze di rilievo nella fila dell'opposizione scontano tutte il limite delle loro dimensioni locale: sono al governo negli stati meridionali del Paese, dal Kerala al Tamil Nadu, dal Telangana al Karnataka, dall'Andhra Pradesh al Bengala occidentale, aree dove Modi sta cercando di farsi strada con un massiccio impegno, ma privi di una visione e di un consenso nazionale. Assieme a loro c'è uno dei più giovani e agguerriti competitor del Premier, l'Aam Admi Party di Arwind Kejriwal, chief minister eletto a Delhi. Ma l'Aap è stato azzoppato dall'arresto del leader, in carcere con accuse di corruzione, ritenute politicamente motivate.
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