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Fabiana Magrì per “la Stampa”
Che cosa ci sarà nei nostri armadi nel 2030? Un gruppo di esperti di moda, a Gerusalemme, ha provato a dare una sbirciatina. L' occasione è stata il festival Overall, una piattaforma per creativi e studiosi di tendenze fashion.
L' attenzione globale alla sostenibilità e all' impatto ambientale delle azioni dell' uomo sta infatti rivoluzionando anche l' industria dell' abbigliamento. Che - è emerso nel convegno al Museo della Torre di Davide dal titolo «Closet-X» - guarda al futuro con idee sempre più «ecologiche» e digitali.
Social Secondo un' indagine della Ellen MacArthur Foundation, ogni secondo nel mondo si spreca l' equivalente di un camion della spazzatura pieno di vestiti. Come si può reagire? «I ragazzi della Generazione Z - spiega Natali Itzhakov, esperta di tendenze - fanno della sostenibilità una bandiera ma non per questo sono disposti a rinunciare a essere unici.
Il loro guardaroba del futuro è digitale: non s' indossa nella vita reale, ma si condivide sui social». L' agenzia di Itzhakov, The Visionary, studia tecnologie su misura per clienti nei settori dei viaggi, della moda e dell' hi-tech. E la Generazione Z è il suo target.
«Oggi - continua - per 20 o 30 euro puoi acquistare un capo di abbigliamento digitale, a impatto zero sull' ambiente, dell' azienda norvegese Carlings».
E non è l' unico marchio a muoversi in questa direzione. «I brand di lusso hanno fiutato il business. - osserva -. Gucci, Prada e Miu Miu stanno comprando la tecnologia che consente di scattarsi un selfie e adattare all' immagine di sé un capo di abbigliamento che esiste solo per il web». La start-up israeliana Zeekit è in prima linea come fornitrice della tecnologia - in attesa di brevetto - che si basa su elaborazione delle immagini in tempo reale, computer vision, deep learning e intelligenza artificiale.
i vestiti digitali di carlings
Condivisione Tra le tendenze del futuro non ci sono solo gli abiti digitali ma anche una maggiore condivisione. Anche dell' armadio. In Smart Wardrobe, Michal Levi Arbe spiega come «imparare a comprare meglio e godersi di più le cose che si possiedono già. La sharing economy sta cambiando anche il nostro approccio ai vestiti.
In una società dove gli appartamenti sono sempre più piccoli e abbiamo sempre meno spazio per accumulare - sottolinea - ci interessa poter cambiare spesso abiti senza possederli». In collaborazione con il Comune di Tel Aviv, Levi Arbel va nelle scuole con un programma di educazione per far ragionare i bambini sui motivi che li inducono a passare più tempo nei centri commerciali che nei parchi.
collezione digitale di carlings
Eccedenze E tra le sfide più impegnative nel settore della moda c' è la questione dell' eccedenza. Perfino le Ong hanno smesso di accettare abiti perché non sanno più che farsene. «Il riciclo è tramontato. Ora parliamo di riutilizzo, cioè di come dare nuova vita a un capo vecchio - osserva Atnyel Guedj -. Il consumo sta cambiando, si sposta dai negozi al web. Le grandi marche hanno tonnellate di invenduto, è l' apocalisse della vendita al dettaglio».
Guedj, un master in Fashion Experience e Design alla Bocconi, esperto di filiere sostenibili, individua due tendenze tra le start-up: c' è chi propone un modello che facilita la circolazione di capi di seconda mano, come la francese Le Closet, e chi vira sull' hi-tech, come l' israeliana Twine che trasforma il costoso e inquinante processo della tintura del filo in un' operazione digitale, pulita e on demand.
«Quando nel 2000 ero in Bocconi nessuno parlava di sostenibilità - conclude -. Oggi è il tema centrale per tutti noi. E siamo solo all' inizio».
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