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Giuseppe Scarpa per "il Messaggero"
Maltrattamenti. È questo il reato che i carabinieri del Nas, in una dettagliata informativa, indicano alla procura di Trento per il caso della ginecologa Sara Pedri. Nel mirino degli investigatori ci sono i due dirigenti medici, rimossi il 12 luglio, l'ex primario Saverio Tateo e la vice Liliana Mereu del reparto di Ostetricia dell'ospedale Santa Chiara di Trento.
Sara Pedri è il nome più eccellente che compare agli atti dell'inchiesta come parte lesa, ma non è il solo. Della ginecologa 31enne non si sa più niente a partire dal 4 marzo del 2021. Giorno in cui è scomparsa. La sua fuga o forse il suo suicidio - come ritengono i familiari - sarebbero collegati ai soprusi subiti nel luogo di lavoro. Tuttavia Pedri, secondo gli investigatori, non sarebbe l'unico sanitario vittima di vessazioni della coppia Tateo-Mereu.
Quattordici persone, tra medici e infermieri, compresa la giovane dottoressa, sarebbero state prese di mira, dal primo gennaio 2018, con demansionamenti e insulti. Di questo sono sicuri i militari dell'Arma che si stanno occupando della parte dell'inchiesta relativa al clima di lavoro che si respirava in corsia. Al procuratore capo Sandro Raimondi hanno inviato una informativa in cui chiedono che la coppia di dirigenti venga iscritta nel registro degli indagati per maltrattamenti. Adesso spetterà ai magistrati decidere.
LA VICENDA A metà luglio altre sei ginecologhe colleghe della 31enne, avevano spiegato di essere pronte a sporgere denuncia: «Le condizioni di lavoro in corsia - avevano detto - erano fonte di profonda sofferenza e prostrazione». Mesi di ripetute offese e critiche tali da minare qualsiasi sicurezza professionale potrebbero aver spinto Sara Pedri a dimettersi il 3 marzo e a svanire nel nulla il giorno successivo. Dopo lo scandalo suscitato dal caso Pedri il 12 luglio il primario Tateo e la sua vice Mereu sono stati trasferiti, e l'azienda sanitaria trentina ha aperto un'inchiesta interna ascoltando 110 dipendenti.
Ma la scomparsa di Sara e la coraggiosa battaglia della sorella Emanuela per scoprire la verità hanno aperto una crepa, non si può più tornare indietro. Un mese fa gli atti della commissione sono stati consegnati alla Procura, che nel frattempo ha ascoltato decine di testimoni. La sorella ha raccontato a più riprese che «Sara era attaccatissima alla famiglia e alle sue cose: amava mangiare, amava la musica e i film. Era una persona colorata. In tutto».
Emanuela ha spiegato come la 31enne fosse dedita a quel lavoro che aveva ottenuto con sacrificio e che voleva sopra ogni cosa. Col passare delle settimane però la voce di Sara, sempre piena di vita ed energia, si era fatta triste: «Non aveva tempo di andare in bagno o mangiare, non poteva fermarsi, era un ambiente di lavoro ostile ha sottolineato la sorella per interi turni non le veniva assegnata alcuna mansione. Veniva aggredita verbalmente e in un'occasione è stata schiaffeggiata da uno dei suoi superiori su una mano: poi è stata invitata a togliersi il camice e a sedersi in una stanza a parte».
«Le dicevano: sei un'incapace, non sai fare niente, dove ti hanno formata non ti hanno insegnato a fare nulla», ha aggiunto Emanuela. Un lento annichilimento che ha portato Sara a tornare a casa a Forlì dalla sua famiglia lo scorso febbraio, dopo che il suo medico le aveva prescritto 15 giorni di malattia: di questi sette, la ginecologa 31enne, li ha trascorsi chiusa nella sua camera a letto. Poi il 3 marzo ha deciso di rassegnare le dimissioni così da poter essere finalmente libera come riferì anche alla sorella Emanuela nell'ultima telefonata intercorsa tra le due prima di sparire nel nulla il giorno dopo.
IL TELEFONO La Procura di Trento, nelle scorse settimane, ha ricevuto copia forense del telefono della giovane e il pubblico ministero Licia Scagliarini sta analizzando il contenuto. Il cellulare di Sara è stato trovato nella sua auto parcheggiata al confine tra il comune di Cis e quello di Cles, nelle vicinanze del ponte sopra il torrente Noce, che con la sua corrente porta al lago di Santa Giustina, ed è qui che si perdono le tracce della dottoressa.
liliana mereu col primario saverio tateo
«Confidiamo nella magistratura, come abbiamo fatto fin dall'inizio», ha spiegato la sorella. Nei confronti del primario Tateo sperava in un provvedimento più severo, spiega che un semplice spostamento non risolve il problema, «comunque non avrei mai pensato che si potesse raggiungere questo risultato in così poco tempo. Finalmente il personale del Santa Chiara può ricominciare a lavorare serenamente».
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