DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Michele Farina per il "Corriere della Sera"
Finora «la sirenetta» o «il brutto anatroccolo», non certo «Il nome della rosa», si potevano associare a Odense, Danimarca, la città natale del «favoloso» Hans Christian Andersen. Ma la scoperta di due improbabili «investigatori» nella biblioteca della locale università ha reso immancabile il velenoso parallelo con il capolavoro di Umberto Eco.
Tre libri antichi, tre volumi che al termine di una minuziosa ricerca si scoprono avvelenati, un po' come la mitica copia del secondo libro della Poetica di Aristotele che nel romanzo faceva strage di monaci.
Nessun morto, invece, nei corridoi della University of Southern Denmark, nata nel 1998 da una costola di quella di Odense. Protagonisti due ricercatori che non assomigliano certo a Guglielmo da Baskerville e Adso da Melk alle prese con le misteriose uccisioni nel monastero benedettino.
Il primo, Jacob Povl Holc, è un bibliotecario; il secondo, Kaare Lund Rasmussen, è professore di chimica e fisica. Loro stessi hanno raccontato l'«impresa» sui media. «Nella realtà potrebbe succedere quanto architettato da Eco nel "Nome della rosa"?
La nostra risposta è sì».
I due studiosi ricevono l' incarico di indagare su tre volumi di diverso argomento risalenti al Sedicesimo e al Diciassettesimo secolo. La ragione: si è scoperto che le copertine contengono frammenti illeggibili di manoscritti medievali.
Accadeva spesso, in passato, che si utilizzasse questo tipo di carta riciclata. Volumi preziosi? Per provare a individuare i caratteri e magari i testi, gli investigatori ricorrono all micro-spettrofotometria Xrf, una tecnica di imaging che permette di identificare un materiale bombardandolo di raggi X.
Il risultato sorprende tutti: i frammenti sono illeggibili perché le copertine sono tutte rivestite con uno strato di pigmento verde. Ulteriori esami. Fino alla conferma definitiva del chimico e del bibliotecario: è arsenico, «una delle sostanze più tossiche che esistano».
C' è stato un «venerabile Jorge» che nel Seicento «avvelenò» quei volumi per evitarne la lettura? Purtroppo (per la storia) no. L' università danese non ha neppure comunicato di quali libri si tratti, il che è già un segno del loro valore.
Gli investigatori preferiscono parlare del tipo di arsenico ritrovato, che un tempo veniva chiamato «verde di Parigi» o «verde smeraldo»: rinomato per brillantezza e resistenza, usato dai pittori impressionisti, se ne cominciò a produrre in quantità industriali agli inizi dell' Ottocento, quando ancora si ignoravano le sue proprietà tossiche.
Oggi è bandito. Ma allora serviva a proteggere i libri antichi dagli insetti. È così che quelle copertine sono arrivate fino a noi. E al nostro bisogno di elaborate finzioni. Di gialli, più che di favole.
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