“CHIARA, TI RICORDI QUANDO HAI AMMESSO A FEDEZ CHE TI SEI SCOPATA ACHILLE LAURO?” - IL “PUPARO” DEL…
Da “la Stampa”
Qualche anno fa, citando Max Weber, Ágnes Heller disse che «nell' età moderna ci muoviamo in diverse sfere con i loro rispettivi concetti di verità». In politica, spiegava, ognuno è portatore di una verità che un altro può confutare o addirittura falsificare. Non se ne lagnava, ne prendeva atto. E la riflessione non ha tanto a che vedere con le fake news (Heller, ungherese, visse sotto le dittature nazista e comunista, la cui stessa essenza era la menzogna), quanto piuttosto sulla percezione degli eventi e sulla memoria, che non saranno mai condivise.
E lo sappiamo bene oggi, su qualsiasi argomento, dall' immigrazione all' eredità del fascismo. Ognuno di noi ha una sua verità ed è tale per quanto ci affascina, non per una scrupolosa analisi dei fatti, di quello che è successo prima e si è precisato dopo. Mi è venuto in mente perché l'altro giorno sono andato a vedere "Gli anni più belli", l'ultimo film di Gabriele Muccino.
Fra i protagonisti, Pierfrancesco Favino è un avvocato dedito alla causa dei deboli, sinché non si ritrova a difendere un lercio al cubo, uno che ha speculato sul sangue infetto e ha provocato la morte di decine o centinaia di persone. In pratica, Duilio Poggiolini. Quello coi soldi delle tangenti nel puff, per chi non ricordasse. Poggiolini compare spesso nei film sugli anni Novanta. Fa sempre scena: il mostro senza scrupoli dalle ville opulente e la coscienza di un rettile. Martedì, per quella storia, Poggiolini è stato assolto. Ma tanto nessuna sentenza sarà mai persuasiva come dieci sceneggiature, e i più, anziché la verità processuale, si terranno quella cinematografica.
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