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Marcello Veneziani per “la Verità”
Eccolo il Poeta. È pazzo, è maledetto, è profetico, è martire della sua visione, è muto, è ieratico, è animale sacro. Tutti questi requisiti aveva Ezra Pound che aveva pure il volto, lo sguardo e l' aura del poeta. Infatti lo considerarono pazzo e lo chiusero in un manicomio per tredici anni.
Lo ingabbiarono e poi lo internarono perché maledetto, dalla parte sbagliata. Fu profeta nel delirio delle sue visioni poetiche e politiche, e nella sua condanna dell' usura. Si chiuse poi in un lungo, profondissimo silenzio, come un oracolo sconfitto, chiuso nei misteri di Eleusi, quando venne il tempus tacendi. E fu ieratico nei modi e nella figura, di una bellezza sacra quando diventò vecchio e un' aureola di capelli e barba bianca circondava il volto, illuminandolo.
Ma apparve sacro sin da giovane: uno scultore che gli scolpì il busto, Gaudier, lo battezzò «Testa ieratica», ed era il 1913, Pound non era ancora Pound, aveva solo ventott' anni. E per concludere in bellezza il poeta morì a Venezia, e quattro gondole parate a lutto lo portarono al cimitero di San Michele, in una cerimonia d'addio che solo a Venezia può rendere più nera e sacra la morte di un poeta. A Venezia era andato a morire pure Filippo Tommaso Marinetti.
A ripensare alla sua vita, hai l'impressione che l'imago, cioè l'aspetto ieratico abbia segnato il destino sacro e delirante di Pound. E che la sua vita sia stata un vortice, una vertigine. Ma fu proprio l' imagismo, fu proprio il vorticismo, il nome che Pound scelse per indicare la sua arte e la sua poesia. Il vortice è il punto di massima energia, spiegava, è il punto in cui tutto prende a girare velocemente intorno a un centro, un vorticare di emozioni.
E se uno pensa ai Cantos che accompagnarono Pound per quasi tutta la sua vita, un capolavoro durato sessant' anni e forse più, l' idea che ti lasciano è proprio di un vortice in cui mulinano immagini, visioni, pezzi di presente, lacerti di futuro, reperti di passato, in un caos di elementi, perché ogni età è contemporanea dice Pound. Questo è vorticismo. Se volete avere un' idea del vorticismo, pensate al XXVI canto dell' inferno, quando Dante descrive la fine tragica dell' impresa di Ulisse di sfidare l' ignoto e varcare le colonne d' Ercole. «De la nova terra un turbo nacque» «tre volte il fè girar con tutte l' acque».
Ecco il vortice, la nuova terra è l' America da cui proviene Pound, nell' oceano il vortice risucchia la nave e i suoi arditi navigatori. E Pound scrisse la Divina Commedia del Novecento; mancava Dio, il suo ordine e la sua perfezione, ma non mancava la nostalgia degli dei.
La sua poetica è al passo coi suoi tempi, con le avanguardie artistiche, con gli sperimentalismi del primo novecento. Ma la forza e l' originalità di Pound è che insieme al modernismo e alla critica dell' età vittoriana, risuona la passione per l' originario, per l' antico, per il medioevo provenzale, cortese e stilnovista. Perché la sua poesia non vuole rompere con la tradizione, da Dante ai preraffaeliti, non disdegna le glorie del passato, come fa invece il futurismo, ma le avvolge nel suo vortice. La sua poesia, aveva ragione Giorgio Agamben, segna la frattura senza precedenti della tradizione; lui abita la Terra devastata, qualcosa di diverso dalla Terra desolata del suo amico Thomas Stearns Eliot.
I lembi della tradizione turbinano come macerie, in un caleidoscopio, tra voli pindarici, assonanze assurde. I Cantos sono un' officina sconcertante, delirante. Ma la poesia, per Pound, deve «riempire il caos, popolare solitudini, moltiplicare immagini, e segnare a via sterile al paradiso». Il poeta ha un compito: «Riempire il vuoto di stelle». Quasi una supplenza divina, colmare una perdita essenziale.
Ma Pound, come i grandi del suo tempo, in primis Gabriele d' Annunzio, è per la poesia totale che si riversa nell' azione, che si fa economia, lavoro, storia e politica. Da qui la sua speranza nel fascismo, il suo entusiasmo per il rinascimento e il ringiovanimento d' Italia, il mito del Dux, la storia antica che ritorna nei fasci, nella lotta tra l' oro e il lavoro, la resurrezione della civiltà di Dante e Cavalcanti.
Ma «se un uomo non è disposto a correre qualche rischio per le sue idee o le sue idee non valgono niente o non vale niente lui». E Pound, con l' incoscienza dei poeti va incontro al suo destino di carcere, manicomio e dannazione. Gli negheranno pure un Nobel per il suo «fascismo». Ma lui risponde in versi, che non era vanità «aver raccolto dal vento una tradizione viva» o «da un bell' occhio antico una fiamma inviolata».
Infine, rivedrete il suo incontro con Pier Paolo Pasolini, che lo intervistò per la Rai nel '67. Pasolini detestava Pound ma poi scoprì che qualcosa lo spingeva a cercarlo. Quando fu al suo cospetto si rivolse a lui coi versi poundiani: «Stringo un patto con te. Ti detesto ormai da troppo tempo. Vengo a te come un fanciullo cresciuto che ha avuto un padre dalla testa dura. Sono abbastanza grande ora per fare amicizia. Fosti tu a intagliare il legno. Ora è tempo di abbattere insieme la nuova foresta. Abbiamo un solo stelo e una sola radice.
Che i rapporti siano ristabiliti tra noi». E Pound accolse l' amicizia. Erano intagliati nello stesso legno: la civiltà contadina, l' amore per la tradizione, il rifiuto del capitalismo.
Entrambi scandalosi, apocalittici e «inadattabili» come Pasolini disse di Pound. Pure Pasolini si definì «una forza del passato, nella tradizione è il mio amore». E assisteva alla «Dopostoria», come Pound, «dall' orlo estremo di qualche età sepolta». Alla fine Pasolini s' inchinò alla grandezza senza tempo, più scandalosa della sua, all'aura del poeta. Morirono ambedue, in modi assai diversi, nel ponte dei morti, a distanza di tre anni. Aveva scritto Pound: «Dalla mia tomba sorga una tale fiamma che chiunque passi ne provi calore». Quella fiamma e quel calore hanno ispirato questo viaggio intorno a Pound, il poeta pazzo e sacro. Alla fine, «quello che veramente ami è la tua eredità».
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