RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Fulvio Abbate per https://www.huffingtonpost.it/
Che triste cosa non avere mai ricevuto neppure una telefonata, un sms, un emoticon a forma di “smile” da Luca Palamara. Proprio da lui, magistrato attualmente al centro delle più turbolente cronache giudiziarie, fra intercettazioni e dubbi sulla condotta esatta che proprio un uomo di legge dovrebbe assumere. Sciocchezze, andiamo piuttosto alla polpa, al vero polmone narrativo e spettacolare che questa nostra storia, decisamente romana, restituisce, tra gli attici del centro storico e le altane del limitrofo quartiere Prati che unisce Palazzaccio e piazzale Clodio.
Come non intuire che occorre esclusi, di più, divorati dalla sensazione di avere negato l’accesso a un mondo meravigliosamente, come dire, magico, antropologicamente periscopico in assenza di un Palamara? Non sarà proprio come entrare nella villa esclusiva di “Eyes Wide Shut” di Kubrick attraverso la parola d’ordine “Fidelio”, ma quasi.
Guardi Luca Palamara, ne contempli la gioia di vivere perfino in senso sportivo, calcistico, mondano, e subito ti viene da pensare che sarebbe meraviglioso possedere tra gli amici veri uno esattamente come lui, un po’ Bruno Cortona del “Sorpasso” e un po’ proprio se stesso, Luca, sì, Luca Palamara, membro togato del Consiglio Superiore della Magistratura. Eccolo che giunge sotto casa tua, chiama dalla strada, un colpo di clacson e poi, “… dai, scendi!”. E tu: “Per fare cosa?” E lui, Luca, di rimando: “Tu non ti preoccupare, vieni con me e vedrai”.
luca palamara nicola zingaretti
Sarebbe splendido poter condividere i giorni, altrimenti ostaggio del tedio, con Palamara, perfino da seduti sul sedile posteriore, osservandolo nelle sue soste, mentre conversa, cellulare in mano, che verve! Sono sicuro che improvvisamente, grazie a Luca Palamara, Roma ci apparirebbe fantasmagorica, così come non avresti mai immaginato dal tempo di Via Veneto con Re Faruk.
Un mattatore, l’ho detto, un vero uomo di mondo, altro che un semplice magistrato paludato, così come erano d’obbligo, almeno un tempo, immaginarli: severa grisaglia, bifocali di tartaruga e cellometallo, talvolta perfino il cinto erniario, casa e tribunale, faldoni e, nel migliore dei casi, un piatto di schiaffoni con pajata da “Checco er Carettiere”, giusto la domenica, doverosamente insieme alla famiglia. No, uscendo insieme a Luca Palamara, avresti la sensazione di quanto è cambiata da allora la magistratura, e, ripeto, soprattutto quanto sia bella Roma.
Non è escluso neppure che, in giro con lui, si possano addirittura incontrare delle amiche meravigliose, giovani signore che, metti, pensavi esistessero soltanto nei documentari di “Donnavventura”, cappelli di Alviero Martini, colpi di sole al vento, donne da sponsor appaltato unicamente a Rete4.
Il racconto del quotidiano telefonico di Luca Palamara ti fa immaginare, che so, ville con piscina all’Olgiata oppure ad Ansedonia, e se una volta lì scopri di non avere il costume, ecco che l’amico ti trae d’impiccio: “Tranquillo, ne ho sempre due!” E un attimo dopo - splash! - perfino l’Infernetto o Vigna Stelluti sembrano trasfigurarsi in un quadro di David Hockney, meglio molto meglio di come un Malagò possa offrirti, sempre come suggestione narrativa.
E ancora: “Sai, Luca, a me piace quell’attrice, quella bionda col diastema che fa la pubblicità del formaggino…” E lui: “Che problema c’è, la invitiamo per la prossima partita benefica della nazionale magistrati”.
Ora che ci penso, la persona che, per verve e talento umano contagiosi, sento di assimilare a Luca Palamara era un poeta straordinario che anni e anni fa abitava in piazza Santa Croce in Gerusalemme, davanti alla chiesa che custodisce i chiodi del supplizio di Cristo, lui si chiamava Riccardo Panaccione, e attraverso i suoi occhi a bordo della sua Citroen, Roma sembrava addirittura che luoghi si illuminassero al suo passaggio; chi non vorrebbe avere un amico com’era Riccardo? E lo stesso magari vale per Luca Palamara.
Se in serata c’è il concerto, tipo, di Antonello Venditti o di Ringo Starr, e, disdetta, i biglietti sono esauriti, ecco che in un attimo la mente di Luca si fa fluorescente, e i biglietti saltano fuori, perché lui sa sempre a chi rivolgersi, davvero il minimo per gli uomini di mondo; e un attimo dopo anche la città si illumina, cominciando dagli attici di Monti Parioli, e in controluce, dalla strada, sembra perfino di intravedere alcune splendide donne, in tutto simili a quelle dello spot della Compagnia delle Indie, che ballano, così da via Gramsci a Mostacciano, da piazza Bainsizza a lungotevere della Vittoria, dove abitava Moravia, dove hanno girato anche il capolavoro di Sorrentino dedicato a Roma, posto che Luca Palamara li surclassa tutti, i personaggi di quel film, compreso Lello Cava, cioè il personaggio di Carlo Buccirosso, il più scafato.
E dire che fino a una ventina di anni fa per “Sistema Palamara”, sempre a Roma, si intendeva un modo di costruire nel modo più semplice e rapido, come ben illustrava un video pubblicitario trasmesso dal canale privato, TeleAmbiente, in sottofondo la musica di Ennio Morricone per “C’era una volta in America”.
Ingenuo, chi non comprende che la vicenda Palamara trascende le aule dei Palazzi di Giustizia, trascende perfino la demagogia, l’antigiustizialismo, lo stesso sentimento kafkiano, così come ogni riflessione degna di Leonardo Sciascia tra “Todo modo” e “Il contesto”, e la corruzione del potere giudiziario, al contrario racconta Roma nella sua sostanza eterna. Se, appunto “La grande bellezza” era un plastico in scala della irredimibilità dell’Urbe, una semplice maquette, il racconto di Palamara proietta la città a grandezza naturale.
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