DAGOREPORT – MATTEO FA IL MATTO E GIORGIA INCATENA LA SANTANCHÈ ALLA POLTRONA: SALVINI, ASSOLTO AL…
Jessica D' Ercole per “la Verità”
Sir Winston Churchill sosteneva che «il gin tonic ha salvato più vite e menti di inglesi, che tutti i medici dell' Impero». Quello che non sapeva è che il gin avrebbe salvato anche la Royal Collection Trust, la charity che amministra le residenze reali aperte al pubblico, messe a dura prova dal coronavirus.
La regina Elisabetta, che ha dovuto licenziare 200 dipendenti, ha deciso di produrne uno tutto suo, il Buckingham Palace Dry Gin, con 12 erbe raccolte direttamente nei 16 ettari di giardini del suo palazzo. Quaranta sterline per 70 centilitri di puro spirito reale che andranno a rimpinguare le casse della charity. E, dato che il gin tonic è il cocktail dell' estate 2020, il primo lotto è andato esaurito in una manciata di minuti dal lancio. Il secondo, previsto per il 16 ottobre, è già in prevendita.
D' altronde il gin, anche se nato in Olanda con le bacche di ginepro, è il distillato inglese per antonomasia. Se in epoca vittoriana veniva usato per addolcire l' amaro del chinino somministrato ai membri della Compagnia britannica delle Indie orientali come rimedio contro la malaria, oggi Sua Maestà il gin ama sorseggiarlo con del Martini davanti al camino d' inverno, con la tradizionale acqua tonica per rinfrescare le estati. I bartender di corte hanno fatto sapere che il gin tonic reale viene preparato in «un bicchiere modello tumbler pieno di ghiaccio con mezza parte di gin e mezza di tonica, guarnito con una fetta di limone».
Elisabetta, che ha ereditato la sua passione per il gin dalla madre, non beve da sola: a farle compagnia anche suo marito Filippo Mountbatten. Il 20 novembre del 1947 ne trangugiò uno alle 9 del mattino in soli due sorsi.
Mezz' ora dopo era all' abbazia di Westminster per sposare la futura regina davanti a 2.500 invitati. A confermare la passione dei britannici per il gin tonic anche l' attore Hugh Grant: «Mia madre sostiene che molti inglesi hanno bisogno di due gin tonic per stare bene. Io, forse, sono uno di loro...».
NELLA VASCA DA BAGNO
Reali e inglesi però non sono gli unici ad apprezzare il gin. Tra gli scrittori americani non ne poteva fare a meno Francis Scott Fitzgerald. Nei ruggenti anni Venti, le sue serate mondane venivano sempre annaffiate con abbondante Gin Rickey, ovvero gin (all' epoca di contrabbando) con acqua minerale, succo di lime e tanto ghiaccio. A Fitzgerald questo drink piaceva molto anche perché era convinto che il gin fosse l' unico alcolico di cui non restasse traccia nell' alito. Lo fece bere persino a Daisy e Tom ne Il grande Gatsby.
In Shaker. Il libro dei cocktail, libro scritto con Roberto Leydi nel 1961, Umberto Eco ricordava che «l' alcolico più facile da trovare nell' America del proibizionismo era il gin. Se raro era il whisky e rarissimo il cognac, il gin saltava fuori da tutte le parti e ciò per la semplice ragione che il gin si può fare in casa, nella vasca da bagno.
Certo il risultato di questa produzione familiare non era straordinario, ma in tempi alcolicamente tanto difficili poteva anche passare. Oggi le circostanze sono tali che il sistema del bagno non è più consigliabile. Si trova senza alcun dubbio del gin migliore dal droghiere sotto casa».
Tuttavia se qualcuno volesse cimentarsi a fare il gin in vasca bastano 20 litri di alcol, bacche di ginepro, semi di anice stellato, angelica, sedano, bucce di arancia, mandorle, cannella. Si lascia il tutto in infusione per qualche giorno mescolando di tanto in tanto. Infine lo si filtra travasandolo nelle bottiglie.
Eco apprezzava il Martini cocktail tanto da definirlo «il nepente, segno di civiltà». In realtà più che un Martini cocktail, il professore beveva Gin Martini on the rocks in proporzioni 16:1, lamentando che non tutti lo sapessero fare come piaceva a lui: «Pochi i luoghi dove bere sicuri: due o tre bar a Bologna, due a Milano, ma nessuno a Parigi, per la semplice ragione che in Francia non lo sanno fare, neppure se glielo spieghi direttamente al banco.
So di andare sul sicuro al Peninsula di Hong Kong, all' Otani di Tokyo o al Raffles di Singapore, ma non si creda che negli Stati Uniti lo sappiano fare ovunque».
In una delle Bustine di minerva pubblicate da Eco sull' Espresso si leggeva: «Gli americani bevono tre Martini a colazione, io li batto di gran lunga, ma con il Gin Martini alla mia maniera», perché come scriveva il premio Pulitzer americano Bernard DeVoto in The Hour: A Cocktail Manifesto: «La giusta unione fra gin e vermouth è una magnificenza enorme e improvvisa; è uno dei matrimoni più felici della terra».
Altro scrittore appassionato di gin, tanto da inserirlo tra le righe di La gatta sul tetto che scotta e Un treno chiamato desiderio, era Tennessee Williams. Lui preferiva il Ramos Gin Fizz, un cocktail a base gin con uovo, crema, succo di lime, limone, fiori d' arancio e acqua tonica. Ancora oggi, a New Orleans, questo drink viene bevuto in onore del drammaturgo americano.
Ed Ernest Hemingway, che di alcol ne capiva qualcosa, quando tornò in Italia nel 1948 per rivedere i luoghi della guerra, si assicurò che nella Buick azzurra che lo doveva portare da Genova a Cortina ci fosse, oltre alla quarta moglie Mary, anche una riserva di Gordon Gin.
«Un colpo alla testa»
Il distillato di bacche di ginepro, è un ingrediente fondamentale anche de La caduta del francese Albert Camus: «Per fortuna che c' è il gin, il solo lume in questa oscurità. Percepisci la luce dorata che ti accende dentro? Mi piace passeggiare per la città di sera nel calore del gin».
Tornando nel Regno Unito, in 1984 George Orwell ricorda che il «Victory Gin era come acido e, per di più, quando lo si manda giù si ha la sensazione di venire colpiti dietro la testa con una mazza. Poco dopo, però, la sensazione bruciante nello stomaco si placò e il mondo cominciò a sembrare più felice».
Non ha mai nascosto il suo debole per il gin anche J.K. Rowling, madre di Harry Potter e di Jessica. Nel 1990, rimasta single con la figlia appena nata, era solita fare lunghe passeggiate all' aperto per le vie di Edimburgo per far addormentare la sua piccola. Non Jessica crollava, la mamma si fermava in pub, ordinava un gin tonic e dava vita al piccolo mago. In una nota a margine delle bozze di Harry Potter ha anche scritto «I want a large gin».
UN ELISIR DI LUNGA VITA
Lo scrittore e saggista britannico Martin Amis, su RivistaStudio, ha ricordato una sbornia epocale con Anthony Burgess, l' autore di Arancia meccanica: «Abbiamo cominciato con i gin tonic (due ciascuno), per poi passare a una quantità pazzesca di vino rosso di non eccelsa qualità. Io ho cercato di fare del mio meglio per tenere il passo di Burgess, che, alle cinque, aveva preso a bere un brandy doppio dopo l' altro come se si trattasse di una gara: tre sorsate, sollevava il bicchiere e ne ordinava un altro.
Alle sei ha chiesto un gin tonic. Che ha posto fine alla seduta. I postumi sono stati per me di proporzioni terrificanti e sono durati per mezza settimana». Burgess era un fan anche dell' Hangman' s Blood, un cocktail fatto con whisky, rum, port, brandy, stout, champagne e ovviamente gin.
Nelle pagine di A Journey - Un viaggio l' ex premier Tony Blair rispose a chi gli dava dell' alcolista che beveva «un gin tonic prima di cena, poi due bicchieri di vino, a volte mezza bottiglia. Insomma, non troppo».
Tra i politici, anche l' ex premier Mario Monti gradisce il gin tonic e l' ex presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, che ha sempre negato problemi con l' alcol, ha ammesso di concedersene uno ogni tanto ma «solo in estate».
In fondo, come ha detto Letizia Battaglia, la fotografa che con le sue immagini ha raccontato la Mafia e la sua Palermo: «Anche il gin tonic può essere un atto politico, visto che alla mia età è sconsigliato da tutti i medici, ma io lo bevo lo stesso». Va detto che, gin tonic dopo gin tonic, Elizabeth Bowes-Lyon, la Regina Madre, arrivò a 102 anni. Lei, del gin, fece un elisir di lunga vita.
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