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A CHE GIOCO STA GIOCANDO LA MELONI CON IL MES? – MI-JENA GABANELLI SPIEGA COS'È IL FONDO SALVA STATI, A CHI SERVE E PERCHÉ L'ITALIA È L'UNICO PAESE DEI 20 DELL'EUROZONA A NON AVER RATIFICATO IL TRATTATO: “IL GOVERNO MELONI CHIEDE IN CAMBIO LA REVISIONE DI ALTRE NORME EUROPEE (VEDI IL PATTO DI STABILITÀ). IL TIRA E MOLLA DI ROMA NON PIACE ALLA GERMANIA, IL PRIMO PAESE CHE POTREBBE AVER FRETTA DI UTILIZZARE IL MES, VISTO CHE DEUTSCHE BANK È ESPOSTA PER 42 MILIARDI. E COSÌ BERLINO SI VENDICA…” – VIDEO

GUARDA QUI LA VIDEO-INCHIESTA DI MILENA GABANELLI SUL MES

 

Estratto dell'articolo di Domenico Affinito e Milena Gabanelli per www.corriere.it

 

MILENA GABANELLI - VIDEO INCHIESTA SUL MES

Si parla moltissimo di Mes, pochi lettori sanno cos’è, quindi partiamo dall’inizio. Mes vuol dire «Meccanismo Europeo di Stabilità», detto anche «Fondo salva stati», è stato approvato dal Consiglio europeo il 25 marzo 2011 per aiutare i Paesi dell’eurozona in difficoltà a causa della crisi finanziaria. Fortemente voluto dall’Italia (a Palazzo Chigi c’era Silvio Berlusconi) che rischiava di non essere in grado di ripagare il proprio debito pubblico dopo l’esplosione dello spread.

 

Ci è voluto più di un anno perché entrasse in vigore, l’8 ottobre 2012, per un’iniziale contrarietà della Germania. All’epoca coinvolgeva 19 Stati che sono diventati 20 dal 1 gennaio 2023 con l’ingresso della Croazia.

 

mes fondo salva stati – dataroom

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Parte tutto dalla crisi del 2007-2008, scatenata dallo scoppio della bolla immobiliare e dai mutui subprime. Nel giro di poco la crisi finanziaria riduce la liquidità delle banche e la possibilità di credito alle imprese, di conseguenza si abbatte sull’economia reale, aggredisce i debiti sovrani e la capacità di solvibilità di alcuni Stati europei. Quelli più in difficoltà sono Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna […]

 

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L’Europa cerca soluzioni per evitare che la crisi si propaghi anche alle economie sane e dà vita nel 2010 al Fondo europeo di stabilità finanziaria, rimpiazzato due anni dopo dal Mes. Il Mes ha un capitale di 80,5 miliardi di euro versato dagli Stati membri in proporzione alle rispettive quote di capitale della Bce, ma è autorizzato a raccogliere oltre 700 miliardi sul mercato con apposite obbligazioni, grazie alla garanzia del capitale sottoscritto sempre dagli Stati membri.

 

L’Italia partecipa con 14,28 miliardi versati e 125 miliardi sottoscritti a garanzia. La decisione di aiutare un Paese che ne fa richiesta viene presa all’unanimità dal Consiglio dei governatori, formato dai ministri delle Finanze dell’area Euro. Il Consiglio può anche prendere decisioni con una maggioranza dell’85%, ma solo se è a rischio la stabilità finanziaria ed economica dell’area dell’euro.

 

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I diritti di voto sono proporzionali al capitale sottoscritto: Germania, Francia e Italia hanno diritti di voto superiori al 15% e possono porre quindi il loro veto anche sulle decisioni urgenti. Una volta dato il via libera, il Mes corre in aiuto al Paese in difficoltà con: 1) prestiti economici, 2) acquisti di titoli di Stato, 3) linee di credito precauzionali, 4) prestiti per la ricapitalizzazione delle banche in crisi.

 

Le condizioni dei prestiti variano a seconda del tipo di aiuto. Le linee di credito precauzionale non prevedono misure correttive dello Stato e sono riservate ai Paesi che rispettano le prescrizioni del Patto di stabilità, non presentano eccessivi squilibri, non hanno problemi di stabilità finanziaria, ma si trovano in un momento di difficoltà. Le linee di credito a «condizionalità rafforzata» sono destinate ai Paesi in difficoltà strutturale e in questo caso è obbligatorio un programma di riforme strutturali, negoziato con il Paese che chiede l’aiuto e vigilato dalla Troika, ovvero da Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale.

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Il caso scuola è quello della Grecia. Per dieci anni, tra il 2001 e il 2010, il costante aumento della spesa pubblica, la diminuzione delle entrate fiscali e il calo di competitività gonfiano il debito greco a tal punto che Atene non è più in grado di rifinanziarlo e rischia di uscire dall’eurozona.

 

Chiede aiuto e Bruxelles glielo concede a tre riprese 2010-2013, 2012-2014 e 2015-2018, varando il più grande pacchetto di assistenza finanziaria nella sua storia: 203,8 miliardi da restituire entro il 2060. Il 40% degli aiuti viene assorbito dal debito pubblico e il resto va ricapitalizzare le banche e ridurre i crediti deteriorati.

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La condizione è quella di approvare riforme per rafforzare crescita, garantire la sostenibilità fiscale; incrementare l’efficienza di pubblica amministrazione e sistema giudiziario. Che si traducono in misure durissime: riduzione dei salari del 22%, aumento dell’età pensionabile (solo il 58% dei lavoratori andava in pensione fra i 58 e i 61 anni, gli altri molto prima). Taglio di benefit e tredicesime, aumento dell’imposizione fiscale, taglio del 30% della spesa pubblica. E poi un imponente piano di privatizzazione: il porto del Pireo è ora in mani cinesi e 20 aeroporti in mani tedesche.

 

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Sta di fatto che dopo la cura da cavallo, dal 2017 la Grecia è tornata a crescere. Il Mes oggi detiene il 50% del debito pubblico greco.

 

Fra il 2010 e 2013 anche l’Irlanda riceve 40,2 miliardi di euro per sostenere il sistema bancario colpito da gravi perdine dopo il crollo del mercato immobiliare nel 2007. Fra il 2011-2014 al Portogallo vanno 50,3 miliardi, la maggior parte a finanziare il bilancio e a ricapitalizzare le banche. La Spagna accede al Mes per 18 mesi tra il 2012 e il 2013 per 41,3 miliardi di euro per ristrutturare il settore bancario in crisi dopo lo scoppio della bolla immobiliare e la recessione economica del 2011. Cipro riceve 6,3 miliardi tra il 2013 e il 2016, per far fronte alla crisi e alle perdite finanziarie.

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Il 27 gennaio 2021 i Paesi dell’eurozona firmano un’intesa per riformare il Mes. Previste quattro novità: 1) la verifica preliminare della capacità di ripagare il prestito; 2) un ruolo attivo del Mes nell’erogazione dell’assistenza finanziaria e nel successivo monitoraggio. 3) Diventano più stringenti i criteri per la concessione delle linee di credito precauzionali, in sostanza possono essere utilizzate solo dai Paesi con i conti a posto, ma in momentanea difficoltà. 4) Può fare da paracadute al Fondo di risoluzione unico, quello che corre in soccorso alle banche in difficoltà, per aiutarlo ad assorbire le perdite in modo che non ricadano su tutti i contribuenti.

 

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L’intesa è firmata anche l’Italia. A Palazzo Chigi c’è Giuseppe Conte e un mese dopo arriva Mario Draghi, ma la ratifica non giungerà mai in Parlamento perché i parlamentari dei Cinque Stelle, che sono la maggioranza e da sempre contrari al Mes, fanno muro. A ottobre 2022 diventa Presidente del Consiglio Giorgia Meloni che, quando era all’opposizione, si diceva pronta, insieme a Fratelli d’Italia, «a respingere con tutte le forze questo ennesimo tentativo di riforma di un Trattato che non fa gli interessi dell’Italia».

 

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A novembre il neo ministro leghista dell’economia Giancarlo Giorgetti, invece, assicura il sì alla riforma del Mes: «Mi attesto sulle posizioni del precedente governo di cui facevo parte». Ma passano sette mesi e non succede nulla, mentre due proposte di legge per la ratifica della riforma (a firma Pd e Italia Viva) rimangono ferme in commissione Esteri della Camera.

 

L’Italia è l’unico fra i 20 Paesi dell’Eurozona (a gennaio è entrata anche la Croazia) a non aver ratificato le modifiche e finché non lo fa, il Mes non può diventare operativo. Bruxelles preme: le crisi bancarie negli Usa e in Svizzera hanno alzato la soglia d’allarme anche in Europa. Il tira e molla d’Italia non piace certamente alla Germania, il primo Paese che potrebbe aver fretta di chiedere l’utilizzo del Mes, visto che Deutsche Bank è esposta per 42 miliardi di prodotti finanziari quasi tutti rischiosi.

 

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La posizione del governo Meloni però non cambia: la richiesta è quella di subordinare la modifica del Mes alla revisione di altre norme europee. Nell’agenda del governo italiano, lo ha detto il ministro Giorgetti, ci sono «il completamento dell’Unione bancaria e l’Unione dei Mercati dei Capitali». La prima è il trasferimento della vigilanza sulle banche dalle autorità nazionali a quelle europee e l’Italia vorrebbe un sistema europeo di assicurazione dei depositi.

 

La seconda la creazione di un mercato unico europeo dei capitali, superando le normative nazionali, in modo che a livello europeo si semplifichi la circolazione dei capitali. E poi, dice sempre Giorgetti, «l’Italia vuole una semplificazione della normativa europea in materia di aiuti di Stato» e anche norme più flessibili sul patto di stabilità che, dopo una sospensione di 3 anni causa pandemia, a gennaio 2024 sarà ripristinato.

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Il governo italiano punta rivedere le regole per gli Stati con un debito alto (e qui noi siamo i sorvegliati speciali). E sul patto di stabilità, in zona Cesarini, entra a gamba tesa la Germania: vuole che il rapporto debito-pil si riduca ridursi dell1% ogni anno. E questo crea un problema all’Italia. Una materia infiammabile che entrerà nel vivo in autunno.

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