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Paolo Travisi per “il Messaggero”
Professor Parisi, quando ha visto il suo nome cosa ha provato? Un fisico si commuove?
«Commozione diciamo che sono rimasto molto contento del premio. Felicissimo».
Qual è stata la prima reazione alla telefonata?
«Quando ho visto che la chiamata proveniva da un paese con un prefisso che non conoscevo, ho capito che si trattava di Stoccolma. Hanno cominciato a parlare, ma c'è stato un istante in cui ho pensato, speriamo che non mi stiano facendo uno scherzo».
Cosa significa far parte della storia?
«Sono cose a cui ci si deve abituare pian piano. Questa mattina quando guardavo i sottotitoli e vedevo il mio nome passare, mi suonava strano».
A chi dedica il Nobel?
«Lo dedico a Nicola Cabibbo, è stato il mio maestro ed avrebbe dovuto vincere il Nobel nel 2008, ma per qualche sfortunata combinazione non l'ha vinto».
Veniamo alle motivazioni con cui l'Accademia ha deciso di assegnarle il premio.
«Io ho inventato e costruito una serie di equazioni che servono per gestire i sistemi complessi; equazioni a loro volta talmente complesse che non capivo cosa volessero dire. Poi lavorando con altri scienziati, ne abbiamo compreso il significato. Direi che è una grande soddisfazione perché è stato un lavoro molto creativo».
Nel corso del suo intervento all'Accademia ha fatto un appello sul clima. Crede che l'urgenza del cambiamento climatico sia realmente compresa?
«Gli scienziati che lavorano sui modelli climatici hanno capito benissimo, ma il problema è che spesso i governi e la popolazione mondiale non se ne rendono conto. Si capisce cosa significhi cambiamento climatico solo quando accadono disastri, inondazioni, ondate di calore; invece è importante che le misure per arginare portino ad un ripensamento del modello dei consumi, perché non si può combattere il clima a costo zero, ma è la politica che deve decidere chi lo deve pagare».
Anche per questo bisogna aumentare i fondi per la ricerca?
«In Italia abbiamo già visto un cambiamento e spero sinceramente che nella Finanziaria ci sia un aumento di 1,2 miliardi per la ricerca».
Quando entrò come studente a La Sapienza, immaginava tutto questo?
«Direi di no, ma a 18 anni un giovane non riesce a immaginare realmente come sarà la vita futura».
A chi deve ciò che ha imparato e portato nel mondo?
«Il mio principale maestro è stato Nicola Cabibbo. Con lui ho imparato molto, tante cose tecniche, ma anche l'attitudine giusta verso la ricerca, ovvero studiare argomenti e materie che fossero divertenti».
Tanti sacrifici ripagati da questo riconoscimento?
«Non mi sono proprio accorto di aver fatto questo sacrificio per lo studio (ride, ndr). Io ho sempre fatto quello che mi interessava approfondire senza mai sentirmi sacrificato».
È stato un divertimento?
«Sì, anche perché se non mi divertivo più, passavo ad altro. La scienza è come un grosso puzzle, solo che una volta che hai messo al loro posto tutti i pezzi che lo compongono, non si è solo soddisfatti per averlo risolto, ma perché hai risolto qualcosa su cui altri potranno costruire».
La fisica serve a risolvere problemi complessi. Esiste una ricetta per aiutare la Capitale ad essere una città migliore?
«Ci sono tante cose che si possono immaginare per migliorare. A partire da studi scientifici sul traffico, di cui credo non ci sia nulla. E poi ci sono alcune soluzioni molto banali, per le quali non serve l'impegno di uno scienziato, ma investimenti. Per esempio costruire dei mega parcheggi di scambio sul Grande Raccordo Anulare, in modo che le persone ed i pendolari non entrino dentro Roma».
Come festeggerà?
«Non sono ancora riuscito a pensarci. Pensi che non sono riuscito a leggere neanche le 17 pagine di motivazioni per il Nobel».
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