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Giu.Sca per “il Messaggero”
Non c' era alcun dubbio la condanna era giusta, le motivazioni, però, erano di un altro imputato. Quattro mesi di carcere per resistenza a pubblico ufficiale. Ma un po' di tempo dopo, quando i giudici hanno consegnato il documento dove spiegavano il perché e il percome avevano deciso di dichiarare la sua colpevolezza, è arrivata la sorpresa: l' incartamento riguardava un' altra persona, un' altra vicenda, un altro reato. È stato un pasticcio quello combinato in chissà quale ufficio della Corte d' appello di Torino nel 2019, su cui ha dovuto metter mano la Cassazione.
Ora il signor F., 50 anni, sardo trapiantato nell' Alessandrino, potrebbe farla franca: la sentenza è stata annullata, e ci sarà un nuovo passaggio davanti ai giudici subalpini che probabilmente si rivelerà inutile, dato che lo stesso pg ha fatto presente che ormai il caso è prescritto.
Quello che può essere successo, secondo la Cassazione, è «un errore nella allegazione della motivazione al frontespizio della decisione». In sostanza, qualcuno ha scambiato le motivazioni. Cosicché la condanna di M.F. è stata sovrapposta a fatti che riguardavano un certo signor T., imputato di resistenza e lesioni.
Non è la prima volta che i giudici, in Italia, compiono errori simili. Più grave del caso di Torino è stato quello che ha riguardato la Corte d' appello di Venezia. Il 6 luglio scorso un avvocato aveva ricevuto via pec le motivazioni di una sentenza relativa a un processo che il legale avrebbe dovuto discutere lo stesso giorno. Motivazione che, tra l' altro, erano il copia incolla di un altro verdetto dei magistrati del 2016.
Tornando, invece, alla corte D' Appello del capoluogo piemontese già in passato gli Ermellini, ne avevano contestato l' operato: nel 2018 cassarono un provvedimento che aveva negato a un pusher la riduzione della pena dopo avere scoperto che era scritto su «un modello prestampato». Nel 2019 sgridarono la Corte perché aveva avuto troppa fretta: il processo a un quarantottenne di Domodossola per hashish era stato fissato alle ore 11, ma i giudici lo cominciarono alle 10:21 e lessero il dispositivo venti minuti dopo. Quando l' avvocato difensore arrivò in aula, alle 11 spaccate, si sentì dire che era tutto finito.
Il 2019 fu anche l' anno in cui un giovane commesso, Stefano Leo, fu ucciso sul Lungo Po da uno sconosciuto che, dopo l' arresto, dichiarò di averlo scelto a caso come vittima sacrificale: l' uomo era stato condannato mesi prima per maltrattamenti in famiglia ma non era andato in carcere perché la Corte non aveva trasmesso le carte all' autorità competente. Il presidente, Edoardo Barelli Innocenti, si scusò pubblicamente.
Said Machaouat stefano leostefano leo 1stefano leostefano leostefano leo 2torino palazzo di giustizia
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