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Estratto dell’articolo di Giuseppina Manin per il “Corriere della Sera”
Il suo esordio americano doveva essere un film sul Titanic. L’idea del produttore David Selzick piacque così tanto a Hitchcock da fare la prova generale attraversando l’oceano a bordo della Queen Mary, nave gemella dello sfortunato transatlantico. Progetto naufragato perché nel frattempo Hitch fu sedotto da un romanzo gotico di Daphne du Maurier e il suo primo film a Hollywood fu Rebecca . Eppure, qualche anno dopo, un altro piroscafo incrociò la sua rotta. Anche questo affondato nel bel mezzo dell’Atlantico, stavolta non da un iceberg ma da un U-boat tedesco.
Anno 1944, l’America è in guerra anche sul fronte del cinema. I grandi registi, da Capra a Ford a Huston, si prestano a girare film di propaganda. Hitch non si sottrae. Dopo Il prigioniero di Amsterdam e Sabotatori il suo terzo contributo alla causa è Lifeboat. La scialuppa di salvataggio su cui John Steinbeck, autore della storia, stipa i nove sopravvissuti alla catastrofe, otto americani e un tedesco, preso a bordo per umanità. [...] il film aveva tutte le carte in regola per essere un successo. Invece fu un disastro.
Appena uscito negli Usa Lifeboat (in Italia Prigionieri dell’oceano) attirò sul regista l’accusa più pesante: di aver fatto un film filo nazista, che sosteneva la superiorità del popolo tedesco. Un film imbarazzante, da far sparire al più presto. Quasi 80 anni dopo, a indagare in quel groviglio di critiche, arriva un documentario, Le film pro-nazi d’Hitchcock di Daphné Baiwir, in concorso a Venezia nella sezione Classici.
[...] A scatenare le censure la presenza del tedesco, in quella scialuppa di scombinati il migliore, il più determinato e capace. «Se guardi il film puoi avere questa sensazione — conferma l’autrice —. Rispetto a lui gli altri sono deboli e divisi. La morale è che senza l’unione gli Alleati sarebbero stati vinti. Certo, se nel film fosse stato chiaro che le “vitamine” del tedesco erano droga, si sarebbe capito da dove venivano i suoi superpoteri! Il patriottismo di Hitch è indubbio, ma dopo tanto bianco e nero, qui comincia a giocare con le sfumature del grigio. Il messaggio di Lifeboat è complesso perché la realtà è complessa».
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«A scatenare le ire della stampa e anche del Fbi — prosegue — fu anche l’aver mostrato “i buoni”, gli americani, come “un branco di cani feroci”, parole di Hitch, che alla fine si avventano sul tedesco con una brutalità pari a quella del nemico».
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