DAGOREPORT - TONY EFFE VIA DAL CONCERTO DI CAPODANNO A ROMA PER I TESTI “VIOLENTI E MISOGINI”? MA…
Estratto dell'articolo di Gabriele Fusar Poli per www.corriere.it
«Ho detto basta e ho denunciato il locale in cui lavoravo, perché lo facevo in nero». Emma Ruzzon, presidente del Consiglio degli studenti dell’Università di Padova, guarda dritta davanti allo schermo dello smartphone [...] parla su Instagram ai suoi oltre 11mila follower, [...]
La voce a tratti trema, ma i concetti espressi sono chiari: «Ci descrivono come una generazione pigra, fannullona e che non ha voglia di lavorare, ma basta poco per rendersi conto che chi ti serve il caffè, chi ti porta la pizza e chi in silenzio sposta scatoloni nei magazzini molto spesso sono studenti. Tutto questo accade perché purtroppo è ormai impensabile riuscire a mantenersi gli studi senza dover nel contempo lavorare».
Emma Ruzzon, quindi, entra nel vivo della questione: «Non è affatto piacevole vivere senza sapere quanto guadagnerai di volta in volta. Io qualche mese fa avevo bisogno di lavorare, e dovevo farlo subito: mi hanno offerto un contratto, ma che conteggiava un quinto delle ore in cui io effettivamente lavoravo, il che vuol dire che i soldi mi arrivavano un po’ in busta e tutto il resto in nero. Questo sistema è malato, perché è stato normalizzato un ricatto tra l’avere dei diritti e l’avere uno stipendio, quindi chi può denunci. Ma è soprattutto la politica che deve prenderne atto: il lavoro sommerso è un problema di questo Paese, e non può essere esclusivamente un tema da campagna elettorale».
I pubblici esercizi
Emma Ruzzon non fa il nome del bar in cui lavorava «perché purtroppo questo caso vale per buona parte dei locali», affermazione che porta alla replica di Filippo Segato, segretario padovano dell’Appe - Associazione provinciale pubblici esercizi: «Sicuramente le pecore nere nel nostro settore ci sono, non possiamo negarlo: sono comportamenti da stigmatizzare, ma che nel contempo sono il sintomo di una problematica di fondo: spesso questi giovani lavoratori, nonostante un regolare contratto, mollano dopo due settimane perché si stancano o perché non hanno voglia di lavorare nel weekend».
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