DOMANDE SPARSE SUL CASO ALMASRI – CON QUALE AUTORIZZAZIONE IL TORTURATORE LIBICO VIAGGIAVA…
Estratto dell'articolo di Gabriella Colarusso per “la Repubblica”
A Teheran lo chiamano "il giudice delle impiccagioni", una fama oscura di cui si torna a parlare con terrore nei giorni in cui la magistratura iraniana esegue le prime condanne a morte per le proteste.
A decidere l'impiccagione di Moshen Shekari, 23 anni, il primo manifestante giustiziato, è stato lui, Abolghassem Salavati, il giudice a capo della sezione 15 del Tribunale rivoluzionario islamico di Teheran. Del suo passato si sa pochissimo: nessuna notizia su dove sia nato o su quale formazione legale abbia. A essere certa è la drammatica conta delle sentenze di condanna a morte o di lunga prigionia che portano la sua firma. Secondo la ong United for Iran, al 15 settembre 2020 Salavati «aveva emesso 25 condanne a morte e condannato 250 imputati a un totale di 1.277 anni di carcere e 540 frustate».
L'organizzazione conta «229 imputati nei suoi casi a cui è stato negato l'accesso all'assistenza legale, non meno di 166 messi in isolamento prolungato, e almeno 104 a cui non sono state consentite visite familiari o telefonate». Vicino all'attuale capo della magistratura Gholam-Hossein Mohseni- Ejei, il suo nome divenne tristemente noto all'opposizione iraniana dopo le grandi proteste del 2009 contro la vittoria alle elezioni di Ahmadinejad, quando il giudice presenziò diversi processi a carico dei manifestanti, anche in quel caso comminando sentenze pesantissime. […]
Salavati è il giudice che condannò a morte anche il giornalista e attivista Ruhollah Zam, ideatore di un canale di informazione indipendente seguitissimo in Iran, Amadnews : fu impiccato esattamente due anni fa, accusato di aver fomentato le proteste del 2017 e del 2018: "corruzione sulla terra". Ma Salavati è anche il giudice che ha presieduto i processi di numerosi cittadini con doppia nazionalità, considerati dalle organizzazioni per i diritti umani non equi e politicamente motivati.
Da lui fu condannato per "spionaggio" anche il giornalista iraniano-americano Jason Rezaian, corrispondente da Teheran del Washington Post , che ha passato 544 giorni in carcere. «In aula, dove c'erano le telecamere della tv di Stato, Salavati manteneva un profilo basso. Fuori dall'aula l'ho incontrato tre volte ed era molto intimidatorio», racconta Rezaian a Repubblica.
«Non ho potuto avere un mio avvocato di fiducia e quando incontravo quello assegnatomi Salavati era presente. Immagina che sei sotto processo e vuoi preparare la difesa con il tuo avvocato e il giudice e il magistrato sono lì a ogni incontro, è contro ogni legge». Rezaian ha raccontato la sua esperienza in un libro e in un podcast. Prima del processo, ricorda, «mi disse: "Perché state perdendo tempo? Ti condannerò a morte, tu sei una spia americana"». […]
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