DAGOREPORT: PD, PARTITO DISTOPICO – L’INTERVISTA DI FRANCESCHINI SU “REPUBBLICA” SI PUÒ…
1 - DALLA BACHECA FACEBOOK DI MARIO ADINOLFI
Per un anno e mezzo ci hanno ricoperto d'insulti. Ora firmano appelli contro l'utero in affitto che finiscono pure su Repubblica, attori e attrici, cantanti e esponenti Lgbt come Aurelio Mancuso che dicono di rifiutare esplicitamente "la maternità surrogata come atto di libertà e di amore". Bene, molto bene.
Spiegatelo anche a quel senatore vostro amico firmatario del ddl Cirinnà che ha fatto inserire la legittimazione della pratica dell'utero in affitto da lui compiuta negli Usa nel ddl (è l'articolo 5, sulla "stepchild adoption") e contestualmente chiedete il ritiro del ddl Cirinnà stesso. Siate coerenti con la stigmatizzazione della pratica di sfruttamento commerciale del corpo della donna, che noi stigmatizziamo da venti mesi tra i vostri insulti: "Diciamo no a chi vuole un figlio a tutti i costi". Ben arrivati.
2 - FEMMINISTE CONTRO L’UTERO IN AFFITTO “NON È UN DIRITTO”
Annalisa Cuzzocrea per “la Repubblica”
Un appello contro la pratica dell’utero in affitto. La richiesta all’Europa di metterla al bando. Il desiderio di rompere quello che viene definito «un silenzio conformista su qualcosa che ci riguarda da vicino». A promuoverlo sono le donne di Se non ora quando libere.
A firmare, un mondo vasto che va dal cinema alla letteratura, dal campo universitario a quello delle associazioni per i diritti. Così ci sono Stefania Sandrelli, Giovanni Soldati, Fabrizio Gifuni, Sonia Bergamasco, Claudio Amendola, Francesca Neri, Ricky Tognazzi, Simona Izzo, Micaela Ramazzotti. E poi intellettuali come Giuseppe Vacca, Peppino Caldarola, la scrittrice Dacia Maraini. E ancora le suore orsoline di Casa Rut a Caserta, l’associazione Slaves no more di Anna Pozzi, Aurelio Mancuso, già presidente di Arcigay e ora di Equality Italia.
Un elenco in fieri che da oggi sarà pubblicato sul sito Che libertà (www.cheliberta. it). Sotto un testo che recita: «Noi rifiutiamo di considerare la “maternità surrogata” un atto di libertà o di amore. In Italia è vietata, ma nel mondo in cui viviamo l’altrove è qui: “committenti” italiani possono trovare in altri Paesi una donna che “porti” un figlio per loro. Non possiamo accettare, solo perché la tecnica lo rende possibile, e in nome di presunti diritti individuali, che le donne tornino a essere oggetti a disposizione».
UNA SIGNORA ALLA MANIFESTAZIONE _SE NON ORA QUANDO__
Il nodo è quello della differenza tra desiderio e diritto. I temi sono quelli del limite, della libertà e della modernità. Per questo, racconta chi ha raccolto le firme come la docente universitaria Francesca Izzo, «mi ha colpita una certa resistenza. Molti, forse più uomini ma anche donne, hanno mostrato una singolare ignoranza della questione, si sono dichiarati troppo inesperti per esprimersi. C’è quasi la disponibilità a considerarla una cosa accettabile senza volersene troppo occupare».
Dice la regista Cristina Comencini: «Una madre non è un forno. Abbiamo sempre detto che il rapporto tra il bambino e la mamma è una relazione che si crea. Concepire che il diritto di avere un figlio possa portarti all’uso del corpo di donne che spesso non hanno i mezzi, che per questo vendono i loro bambini, riconduce la donna e la maternità a un rapporto non culturale, non profondo».
Già alcune femministe italiane - dopo quelle francesi, che hanno stilato un manifesto simile qualche mese fa - hanno sostenuto queste tesi e sono state, come scriveva ieri Avvenire, accusate di omofobia.
«Ma la questione riguarda per l’80 per cento coppie omosessuali - dice Izzo - non c’entra con i diritti dei gay che abbiamo sempre difeso. Ad esempio sostenendo la possibilità, per tutti, di adottare ». Fabrizia Giuliani, docente di filosofia del linguaggio e deputata del Pd, spiega: «Mi sono battuta per la legge contro l’omofobia, mi sto battendo per le unioni civili, penso che la politica debba lavorare seriamente sulla riforma delle adozioni.
Tutte cose che non sono in contraddizione con il nostro appello. In quel testo noi diciamo una cosa fondamentale: “Nessun essere umano deve essere ridotto a mezzo”. Questo vale per tutti. Su questo, sul concetto profondo di libertà, dobbiamo tutti essere in grado di mettere in campo un pensiero nuovo. Il tempo di gestazione non è un tempo meccanico, quel bambino non è un oggetto, quella donna non è solo un corpo, perché il nostro corpo siamo noi».
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