DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Elisa Conti per "Pagina 99” pubblicato da “Il Foglio del lunedì”
Una volta, alla domanda di un cronista, il cantante Morrissey riassunse la sua visita a un negozio di cartoleria come «l’esperienza sessuale più estrema che si possa avere». Per quanto la definizione suoni un po’ eccessiva, è innegabile che esistano moltissimi feticisti della cancelleria: gente così affascinata da raccoglitori, matite e simili da condividere l’incredulità del giornalista inglese James Ward nel concepire che «ci fosse vita prima dell’avvento degli evidenziatori».
Oltre a deprecare i secoli bui in cui si era costretti a sottolineare con la penna rossa, Ward, sedicente patito di soggetti noiosi (ogni anno organizza a Londra delle Boring Conferences, con interventi sui tostapane e altri temi caldi), è autore di Adventures in Stationery (Profile Books), dedicato alla eccitante storia degli accessori da ufficio, per la gioia di quanti correranno a fare coming out in libreria.
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«Ci sono patiti di calcio che sanno a memoria formazioni di decenni fa, musicofili che sanno chi ha partecipato all’album di una certa band e nessuno li critica», dice Ward. «Se invece ti dichiari maniaco di righelli o penne vieni deriso, come se una fissazione fosse inferiore a un’altra. Si dà per scontato che dobbiamo appassionarci a quello che amano tutti gli altri. Ma chi dice che interessarsi a oggetti di uso quotidiano sia sbagliato?».
Per giustificare le sue predilezioni, nel libro Ward presenta una nutrita serie di affascinanti curiosità: dalla vicinanza tra le parole inglesi penis (pene) e pencil (matita), entrambe mutuate dal latino penicillum, pennello (il che, retrospettivamente, getta nuova luce sul vecchio carosello della Cinghiale: «pennello grande o grande pennello?»), all’invenzione della colla in stick, stimolata dall’osservazione di una donna che metteva il rossetto.
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Nel testo si spiegano anche la forma schiacciata del classico evidenziatore Stabilo Boss (frutto di un pugno sull’insoddisfacente pennarello aziendale) o l’adozione di una graffetta come simbolo antinazista in Norvegia, la patria di Johann Vaaler, tra i presunti inventori di questo oggetto. Un corposo capitolo è dedicato alle matite, tra cui la più ambita del mondo: la Blackwing 602 della Eberhard Faber.
Amata dagli scrittori Steinbeck e Nabokov, è uscita di produzione nel 1998 e ora viene strapagata dai collezionisti. Un’altra star è la Dixon Ticonderoga, favorita da Roald Dahl e dal premio Nobel Toni Morrison, nonostante il suo «lato oscuro »: George Lucas la usò per la prima stesura di Guerre stellari e nell’inquietante Twin Peaks di David Lynch, alla notizia della morte di Laura Palmer, si vede il personaggio di James Hurley spezzarne una con il pollice (Ward ci ha provato, ma senza successo).
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Soprattutto, però, Adventures in Stationery rivela che il rapporto tra gli umani e la cancelleria, nonostante l’apparente disinteresse della maggioranza, è così viscerale e intimo da oltrepassare le leggi della ragionevolezza, se non addirittura le leggi e basta. Secondo i dati, nel 2011, periodo di recessione in cui molti persero il lavoro, tra i beni infilati negli scatoloni si registrarono moltissime pinzatrici, considerate dalla maggioranza degli ex dipendenti come un effetto personale. Stando invece a una recente rilevazione inglese, portare via penne o buste dall’ufficio è prassi per i due terzi degli interpellati, con un bel 27% di utilizzatori finali che non si sente neppure in colpa. D’altra parte nel 2005 la Barclay Bank aveva provato ad arruffianarsi i clienti britannici proprio sfruttando questa loro debolezza.
Offrendo a ogni interessato una penna in omaggio, la società aveva sottovalutato l’attaccamento dei correntisti alla cartoleria: in un anno dovette comprare 10 milioni di pezzi, per un totale di 380mila euro. Ne uccide più la penna che la rata. Proprio le penne sono state al cuore di una prolungata battaglia ideologica oltre che economica: quella, puntualmente rievocata nel libro, tra paladini delle cosiddette biro e delle stilografiche.
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Negli anni Cinquanta la Parker sostenne che le penne a sfera uniformassero troppo le calligrafie, eliminando tratti peculiari come l’inclinazione del pennino. Per reagire all’insinuazione, la Bic arruolò un noto grafologo e gli sottopose circa 700 manoscritti in 11 giorni dato che le interpretazioni dell’esperto, a detta di tutti gli esaminati, si rivelarono molto precise, nacque la credenza che la biro in effetti rispecchiasse lo stile di chi la usava. E anche che la grafologia fosse una scienza esatta.
Nel 2005, un altro esperto esaminò un foglio sottratto da un giornalista all’Economic Forum di Davos: «Tony Blair si sforza di restare concentrato perché la sua mente vaga dovunque, ma sa tornare al punto quando serve. Tipico di “teflon” Tony», fa il responso. Un altro parere evidenziò «un carattere aggressivo e instabile, di uno che si sente sotto una enorme pressione». Pochi giorni dopo emerse che quella scrittura, attribuita all’allora primo ministro inglese, apparteneva a Bill Gates.
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Esplorato il passato della cancelleria, resta da vedere quale ne sarà il futuro. Il sentimentale Ward, come ogni vero innamorato, non può credere che un giorno tutto questo finirà. Anzi, a suo avviso il settore è più vivo che mai: «Il fatto è che in un mondo digitale noi abbiamo ancora bisogno di fisicità, di toccare le cose. Lo schermo è freddo, mentre la scrittura è calda, personale, sensuale: la pressione sul foglio, l’odore di una gomma nuova ci fanno sentire bene, ci confortano.
Di più: hanno il potere di renderci migliori. Io, quando compro dei nuovi raccoglitori, sento l’impulso a trasformarmi nell’individuo ordinato che ho sempre voluto essere. Quando acquisto un quaderno nuovo, mi dico che finalmente inizierò il mio romanzo. Quando compro un evidenziatore, sono pronto a riordinare le priorità della mia vita. E posso farlo, volendo, anche se non c’è connessione».
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