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MARTIRIO TELEVISION - L’ISIS È UNA GIGANTESCA MACCHINA DA PRESA: IMPIEGA 100 TECNICI OCCIDENTALI, HA 40 EMITTENTI, 4 CANALI, DIVERSE CASE DI PRODUZIONE CON NOMI COME “LA VITA” O “LA LEGGE” E CONSIDERA SACRE LE ANTENNE

Gabriele Romagnoli per “la Repubblica”

 

ABU MUSLIMABU MUSLIM

Guarda nella telecamera e sogna il paradiso dei martiri. Il giovane canadese si è convertito all’Islam e arruolato nell’Is, facendosi chiamare Abu Muslim. Racconta con gioia il suo percorso di rinunce che portano prima alla gloria poi alla salvezza. Nella puntata successiva è al fronte, combatte, un riquadro luminoso lo indica mentre avanza sparando.

 

Nell’ultima muore ammazzato, come se fosse previsto dalla sceneggiatura di una serie tv di successo. In fondo era così, non c’è differenza, la realtà pre-immaginata è una profezia che si autoavvera. La sola finzione è il montaggio che disegna un sorriso sul volto di Abu Muslim come se un istante prima della fine avesse intravisto la meraviglia che l’attende. È il format del martire, compone il palinsesto mediatico dell’Is.

ABU MUSLIM ABU MUSLIM

 

Prima che si proponesse come uno Stato, prima ancora che diventasse un esercito era questo: un immaginario. Ancora oggi, la propaganda precede l’azione. È il rito dell’annunciazione che si perpetua in forme contemporanee. Originali? Soltanto in apparenza. Bisogna vederle per capirle. E senza filtri: l’interpretazione è un passaggio successivo.

 

L’ha fatto il team di analisi dell’agenzia giornalistica Agc Communication, composto da 7 elementi con diverse competenze (dall’arabista all’informatico, dall’esperto di finanza a quello di strategie militari). Dal 2012 si sono “infiltrati” nella rete social dell’Is, monitorando 5000 account di sostenitori in tutto il mondo, ricevendo gli stessi materiali e conservandoli prima che fossero cancellati. L’esito del loro lavoro, montato, è diventato un videodocumentario che verrà trasmesso stasera su La7 nel corso di uno speciale di Piazzapulita, il talk show di Corrado Formigli, che a inizio stagione aveva trasmesso da Kobane.

ABU MUSLIM  ABU MUSLIM

 

Vedendolo in anteprima ho trovato la conferma di alcune teorie già sostenute e qualche inedita valutazione. Lo Stato Islamico è, più ancora che una macchina da guerra, una gigantesca macchina da presa. Impiega 100 tecnici occidentali, ha 40 emittenti, 4 canali, diverse case di produzione con nomi come “La Vita” o “La Legge”. Considera sacre le antenne. Appena conquistata una città distribuisce agli abitanti caramelle, chiavette usb e ricariche dei cellulari.

 

FILMATO ISIS FILMATO ISIS

Vuole assicurarsi che ogni suo video arrivi a cento milioni di persone, che la prossima meta sul percorso venga raggiunta dalle immagini prima che dai miliziani. Ha creato un palinsesto che comprende una serie di format: quello del martire come nel caso di Abu Muslim, quello dell’autobomba, il talent del guerriero, la sua versione junior (proprio come accade per Masterchef).

 

A noi arrivano spesso soltanto le stagioni conclusive, per cui ci sfugge il filo della narrazione. Tutti abbiamo potuto vedere il bambino che spara alle due spie. Nel filmato in onda stasera lo si può incontrare qualche anno prima, ancora più piccolo, mentre segue l’indottrinamento religioso e militare e dichiara che il suo sogno è «macellare l’infedele».

 

Puoi considerarlo un flashback nella trama, di certo ne esiste una, una squadra che la pensa e un’altra che la mette in scena. Per l’esecuzione di massa dei prigionieri copti sulle rive del Mediterraneo occorre una troupe: regia, montatori, costumisti. È uno snuff movie (filmato cruento per pubblico sadico) con declinazione romantica (orizzonte sul mare, “luce a cavallo” del tramonto). Le colonne sonore sono canti tradizionali, il vero marchio distintivo, onnipresente come un’immagine subliminale, è il suono della scimitarra sguainata.

FILMATO ISIS FILMATO ISIS

 

Il palinsesto invade gli schermi dei telefonini delle generazioni con occhi buoni. Per gli altri ci sono i megaschermi delle piazze che un tempo trasmettevano discorsi del rais. Ma che cosa li incolla lì? Che cosa ha inventato di nuovo lo Stato Islamico? Nulla. Ha usato codici, sistemi e specchietti per le allodole sperimentati e consolidati. Da chi? Dal suo nemico dichiarato, l’occidente.

 

Nella videoeducazione nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si copia. Da Satana si possono prendere la sigla e la struttura dei telefilm, il confessionale del Grande Fratello , la zona grigia del reality dove si mescolano verità e finzione. Lo assorbe, desensibilizzato già da tempo: stordito dal mezzo è pronto per qualunque messaggio. Neppure quello contiene elementi di novità assoluta: epica, eroismo, sacrificio fino alla vittoria. Rambo prega. John Ford e Leni Riefenstahl celebrano.

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Nel suo libro Isis, il marketing dell’apocalisse il saggista Bruno Ballardini scrive che i promoter del Califfato «usano tecniche di marketing dell’occidente, di cui sono succubi» e che il presunto scontro di civiltà si riduce a un duello «tra due integralismi ». Non a caso Hillary Clinton ammette «li abbiamo creati noi».

 

D’altronde stasera vedrete vecchie riprese in cui compaiono insieme un ex candidato alla Casa Bianca, il repubblicano John McCain e l’autoproclamato califfo Al Bagdadi, che evidentemente si sentivano compatibili più di quanto si voglia far credere. Se «li abbiamo creati noi» non è stato solo finanziandoli quando c’era da combattere l’Urss in Afghanistan, ma fornendo loro un apparato di pensiero e azione nel quale il terrorismo, è opinione di Ballardini, non è altro che «un crimine a scopi pubblicitari».

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Da tempo, lo fa anche la voce fuori campo del documentario di stasera (Roberto Pedicini, che doppia Kevin Spacey in House of cards ), ci si sofferma sull’estetica dell’Is, la sua bandiera, il suo trionfalismo. Dimenticando che a spingerla avanti è assai più la sua etica. In un mondo confuso e complesso, dominato dalla politica del cinismo, offre soluzioni semplici e lineari, da abbracciare con uno slancio di fede. Propone un corpus legis elementare e dall’applicazione inesorabile, che ottiene la legittimazione da un’entità altrettanto vaga quanto la costituzione materiale, ma assai più fascinosa: dio.

 

Di fronte all’avanzata di questa nuova videocrazia che prelude al peggiore degli scenari ci si domanda: come fermarli? Ma se è vero, come si sostiene, che li abbiamo creati “noi” e che copiano “noi”, non dovremmo pensare anche a cambiare noi?

 

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