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Michael Weiss per http://www.thedailybeast.com
Abu Khaled è un uomo siriano di mezza età, ben educato, poliglotta e assolutamente estraneo all’estremismo religioso che però il 29 ottobre 2014 ha deciso di unirsi all’Isis. Ecco la sua storia e i motivi che l'hanno convinto ad unirsi ai miliziani di Al Baghdadi.
Abu Khaled credeva che l’America fosse alleata con l’Iran e la Russia per supportare il regime alauita di Bashar Assad, ma ha anche aderito allo Stato Islamico per senso di avventura: “Volevo capire che tipo di persone erano. Non mi pento di nulla di quello che ho fatto ma ora che li conosco bene li ritengo miei nemici”.
Superati i controlli alla frontiera tra la Siria e i territori dell’Isis, Khaled è andato a Raqqa dove per prima cosa è stato sottoposto a una intervista del “Border Administration Department” per diventare effettivamente un cittadino del califfato. Gli è stato chiesto perché volesse diventare un miliziano e lui dice di avergli risposto che voleva combattere gli infedeli. Una motivazione che è stata accolta e accettata senza troppe indagini ulteriori.
Il passo successivo è stato l’indottrinamento, due settimane di scuola in cui gli è stato insegnato “come odiare le persone” e i fondamenti dell’islam secondo l’interpretazione dell’Isis. E cioè che “i non musulmani vanno uccisi perché sono nemici della nostra comunità – racconta Khaled - È stato come ricevere il lavaggio del cervello”.
Durante le sue prime settimane in Siria Abu Khaled ha conosciuto tedeschi, francesi, olandesi, venezuelani, americani e russi che volevano diventare custodi dell’unica vera fede e combattere per essa. Kahled è stato subito una pedina importante per i jihadisti perché essendo poliglotta poteva indottrinare i foreign fighters traducendo dall’arabo al francese e all’inglese.
Abu Khaled racconta che a settembre dell’anno scorso l’Isis accoglieva dai 2mila ai 3mila foreign fighter al giorno, ma che oggi non ne arrivano che 50 o 60, e che 4 o 5mila di loro sono morti scontri a Kobane o nei bombardamenti americani. Questo ha portato i vertici dello stato islamico a rivalutare il ruolo dei combattenti stranieri e a cercare di organizzarli in cellule che operino nei loro paesi di origine, di restare a casa insomma e di organizzarsi.
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