DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Amalia De Simone per il Corriere della Sera
Mille colori riflettono sullo specchio d’acqua. Sul mare galleggiano piattaforme con gru che trafiggono il cielo plumbeo e nordico e incorniciano il puzzle multicolor. Sono i milioni di container stoccati in aree grandi quanto interi quartieri. Siamo a Rotterdam, una città che vive intorno ad uno dei più grandi porti d’Europa. Si arriva con un bus che attraversa grigi rioni dormitorio non diversi da quelli delle periferie italiane. Il porto di Rotterdam è uno dei più importanti centri di smistamento per la cocaina, l’eroina e le armi.
Da qui partono merci legali e illegali per tutti il vecchio continente. Qui si concentrano gli affari dei più scaltri broker al servizio dei clan delle mafie italiane. Perché? Perché su grosse quantità è difficile effettuare controlli serrati e perché esiste un sistema di corruzione tra i lavoratori del porto che sta diventando sempre più diffuso. «Nei volumi massicci di merci che passano, transitano anche parecchie merci di tipo illegale», spiega David Ellero, a capo della sezione di contrasto alla criminalità organizzata di Europol.
«E’ impossibile controllare tutto – dice il capo della polizia olandese Wilbwrt Paulissen - ma ci sono dei sistemi collaudati e in un certo senso noi abbiamo ottenuto dei buoni risultati perché l’anno scorso abbiamo sequestrato 15/16 tonnellate di droga. I container europei ovviamente sono meno controllati, perché viene riservata maggiore attenzione ai container provenienti dal Sudamerica, e le mafie se ne approfittano. Infatti spesso la merce illecita viene messa nei container europei che subiscono meno controlli».
Il problema per il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho riguarda il peso che viene dato al profitto rispetto ad una concreta azione antimafia. «Nel porto di Rotterdam ci sono dei sistemi di controllo all’avanguardia, tuttavia si tende sempre a guardare di più al risultato economico e in particolare al danno che può scaturire dal fermo di un container. Fermare 1000 container significa ritardare la consegna, ritardare la consegna significa creare dei problemi e delle criticità dal punto di vista del profitto».
Per aggirare il sistema di controlli si fa spesso ricorso alla corruzione: «Abbiamo una serie di problemi di integrità nel reparto spedizioni. - dice Koen Vaskuil - Qui la merce viene spedita agevolmente e quindi i criminali sono convinti che anche le loro spedizioni possono passare senza grandi problemi. Ecco perché la loro merce e le loro spedizioni diventano sempre più grandi. Per esempio è stata accumulata anche 1 t di cocaina solo in un container».
Anche Paulissen conferma il dato sulla corruzione: «Sappiamo che c’è corruzione nel porto e onestamente anche in misura maggiore rispetto agli anni scorsi. Ovviamente vediamo anche che vengono utilizzati i vecchi metodi per trasportare la droga ed eludere i controlli per esempio nascondendola nei containers nel cibo».
«Hanno beccato anche degli olandesi che prendevano soldi per non fare controlli e falsificare documenti – dice Jaap Koijker, imprenditore del settore dei fiori che si è ritrovato per anni a lavorare con esponenti della ‘ndrangheta - si tratta di operatori del porto. In questo giro lavorano molti turchi, albanesi, serbi e persone originarie dei Caraibi e delle Antille». La presenza della criminalità organizzata italiana non si percepisce: l’alleanza stretta con i cartelli albanesi e scoperta dalla polizia olandese, fa si che questi ultimi facciano il lavoro sporco anche per gli italiani.
«Un paio d’anni fa – racconta Koen Vaskuil, autore del libro «Maffia Paradjis» - alcuni albanesi furono arrestati nel porto di Rotterdam. Quando furono scoperti, avevano dei passaporti falsi italiani e questo significa che dietro di loro c’era la mafia italiana. Inoltre alcune indagini hanno dimostrato che i trafficanti di droga della ‘ndrangheta lavorano attraverso il porto di Rotterdam. Per esempio un broker della droga, Vincenzo Roccisano lavorava insieme ad una donna in Olanda e insieme importarono 150 kg di cocaina».
Il capo della polizia olandese Wilbert Paulissen, ammette che è difficile rintracciare la presenza dei mafiosi italiani nel porto di Rotterdam: «La mafia italiana c’è e lavora con piccole quantità di droga e questo potrebbe essere il motivo per cui non riusciamo a rintracciarli nel porto o nelle importazioni di grosse quantità. Loro dividono i carichi di stupefacenti in piccole porzioni e li distribuiscono in Europa. La mia conclusione è che loro sono specializzati nel portare di volta in volta piccole quantità. Non parliamo solo di cocaina ma anche droghe sintetiche».
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