DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
1. E NESSUNO PARLÒ
Estratto dell'articolo di Massimo Gramellini per il “Corriere della Sera”
Se fosse vero, ma non può esserlo, ci sarebbe da uscirne pazzi. Il manager Gianni Mion ha dichiarato in tribunale che nel 2010 […] si tenne una riunione con i massimi dirigenti del gruppo Autostrade, durante la quale i tecnici rivelarono l’esistenza di un difetto che metteva a repentaglio la stabilità del ponte di Genova. Nessuno dei presenti batté ciglio.
Nessuno tranne Mion, che volle sapere a chi spettasse certificarne la sicurezza. E quando gli fu risposto «ce la certifichiamo da soli», non aggiunse nulla per paura di perdere il posto. Se fosse vero, ma non può esserlo, toccherebbe aggrapparsi alla speranza che fosse lui, Mion, l’unico reprobo. E che tutti gli altri non avessero sentito niente, persi dentro gli smartphone o nei loro pensieri.
crollo ponte morandi genova foto lapresse
Perché la notizia che il ponte, il tuo ponte, rischia di spezzarsi come un grissino dovrebbe terrorizzare persino il più cinico degli amministratori, non foss’altro perché lì sopra potrebbe passarci anche l’auto dei tuoi figli. O la tua. […] Ma, se fosse vero, come reggere alla scoperta che non ne hanno parlato neanche dopo?
Mion sostiene di provare «un grande rammarico». Altro che grande rammarico. Se fosse vero, ma non può esserlo, ci si chiede come i partecipanti a quella riunione riescano ad andare a letto la sera e ad alzarsi la mattina, da cinque anni, senza essere divorati dai sensi di colpa. Hanno forse più paura di perdere il posto che l’anima?
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2. ACCUSE, INTERCETTAZIONI E LA ROTTURA CON I BENETTON «ORA MI INDAGHINO PURE»
Estratto dell’articolo di Andrea Pasqualetto per il “Corriere della Sera”
[…] Il procuratore di Genova Nicola Piacente vedrà cioè se ci sono davvero i presupposti per indagare Gianni Mion, lo storico braccio destro della famiglia Benetton che ha riconosciuto di aver sentito parlare di rischio crollo fin dal 2010. L’aveva già detto ai pm nel corso delle indagini preliminari ma ieri, in aula, ha circostanziato la cosa, ci ha aggiunto un paio di aggettivi e l’effetto è stato dirompente.
Mion e i Benetton, un rapporto strettissimo fin dai tempi in cui il core business del gruppo di Ponzano era l’abbigliamento. «Entrai nel 1986 in Edizione e la volontà era quella di diversificare il portafoglio», ha ripercorso velocemente la storia finanziaria della quale è stato uno dei protagonisti. Maglioni, sport, Piazza Affari e quel pallino di Gilberto Benetton: Autostrade.
«Ma la verità è che eravamo incompetenti e le cose migliori le abbiamo fatte quando avevamo dei soci che ci aiutavano a capire». […]
«[…] non c’è stata la minima presa di coscienza», sottolinea Mion in una chiacchierata. Nelle conversazioni si parla di Franca Benetton che «dice delle cose e dopo cinque minuti dice l’opposto, non stimola gli investimenti, le piacciono anche i dividendi...»; di suo cugino Alessandro che «adesso vuole i soldi perché lui ha un progetto, dice che è imprenditore e che gli altri non capiscono niente, mamma mia, pensano solo ai c...loro»; di Sabrina che scalpita e «incontra Franca ma i loro discorsi non sono mai molto concreti».
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[…] «Noi sapevamo che il ponte aveva un problema di progettazione, lo sapevamo. A quella riunione c’erano proprio tutti: i consiglieri di amministrazione di Atlantia, gli ad, il direttore generale, il management e loro hanno spiegato che quel ponte aveva una peculiarità di progettazione che lo rendeva molto complicato. Un ponte molto originale ma problematico».
Ieri l’ha confermato davanti ai giudici aggiungendo che il suo grande rammarico è di non aver detto nulla. Gli abbiamo chiesto perché non l’ha fatto: «Perché non ci ho pensato, perché abbiamo creduto che non fosse necessario, perché così dicevano gli altri, i competenti... E invece dovevamo intervenire come è stato fatto adesso, mettendo in sicurezza le strade, i ponti, le gallerie». Cosa fa ora Gianni Mion? «Il pensionato, cosa vuole che faccia». L’avvocato di uno degli imputati chiede che venga indagato. Tattica processuale, per rendere nulla la deposizione. «Ma che mi indaghino pure, io ho detto solo la verità».
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