DAGOREPORT - PER RISOLVERE LA FACCENDA ALMASRI ERA SUFFICIENTE METTERE SUBITO IL SEGRETO DI STATO E…
Paolo Berizzi per “la Repubblica”
Da Padova al Califfato Nero. E ritorno. Da una casa gialla lambita dai campi di Arzergrande all’abisso travestito da paradiso dello Stato islamico. Poi, sette mesi dopo, il pentimento. La voglia di lasciare Daesh e di tornare a casa. «Non ce la faccio più, aiutatemi, vi prego...»: il grido di aiuto in una telefonata con un parente intercettata un mese fa dal Ros dei carabinieri. Che non avevano mai smesso di tracciarla e adesso, assieme all’Antiterrorismo, sono al lavoro per proteggerla da purtroppo possibilissime ritorsioni.
C’è un nuovo capitolo nel piccolo romanzo di Meriem Rehayli, la 19enne padovana di origini marocchine che lo scorso luglio, come un fantasma, lasciò tutto — famiglia, scuola, amici — per diventare una foreign fighter in Siria al servizio del califfo Abu Bakr al-Baghdadi. «Vado al mare con le mie amiche »: aveva detto così al padre, Roudani, arrivato in Italia quando la figlia aveva 9 anni.
Un passaggio in auto fino a Bologna; un volo per Istanbul e poi da lì il viaggio in Siria. Per inabissarsi e arruolarsi nelle fila dei miliziani islamici. Meriem, convertita via web al fanatismo anti occidentale, diventa “Sorella Rim”. Con lo pseudonimo prende a pubblicare su Internet inni all’Is. Anche se nessuno può affermare con certezza quali mansioni in questi sette mesi siano state assegnate a Sorella Rim dai capi di Daesh, né se abbia imbracciato il kalashnikov per eliminare gli “obiettivi” — una decina, per lo più appartenenti alle forze dell’ordine — postati in una lista nera prima di volare in Siria, è altamente probabile che la ragazza sia stata ingaggiata per attività operative.
Forse finalizzate al reclutamento di altri foreign fighter dall’Italia. «Meriem torna! Tutti ti vogliamo bene, la mamma sta male per te». L’appello lanciato a fine luglio dal padre della ragazza era caduto nel vuoto. «Meriem terrorista? Non ci credo», aveva aggiunto. Più nulla, almeno ufficialmente, era trapelato sulle sorti della 19enne.
Gli 007 del nostro Antiterrorismo — attraverso lo scambio di informazioni coi servizi turchi — hanno fatto il possibile per non perdere il filo che avrebbe potuto rimettere in connessione Meriem con il suo mondo di “prima”. Con Arzergrande, con Piove di Sacco, i parenti, gli amici. Come le due amiche, anche loro marocchine, che sempre a luglio videro apparire sui telefonini un invito Whatsapp proveniente da un numero turco: nel profilo del mittente c’è un uomo che bacia la bandiera nera dell’Is e, accanto, la frase: “Ad una terra dove posso combattere sono andato e nei miei occhi c’è odio verso i miei avversari... (invito anche a voi fratelli)”.
Da subito gli investigatori si chiesero se potesse averli forniti lei, Meriem, ai facilitatori islamici dell’Is, i contatti di ragazzi nordafricani residenti nel Padovano da reclutare per la Siria. Testimonianza ritenuta “interessante” quella di un’ex compagna di scuola. Che raccontò: «La vidi un anno fa, mi parlò della Siria e del fatto che sarebbe stato giusto andare lì a combattere. Il lavaggio del cervello sull’Is glielo fece una ragazza di Campolongo Maggiore».
Restando agganciati ai contatti italiani di Meriem, i carabinieri sono riusciti a “catturare” il pentimento della ragazza. Come riporta “Il Gazzettino”, il grido di aiuto arriva un mese fa: «Mi sono pentita, voglio tornare». Per proteggere la ragazza e la famiglia è subito scattato il protocollo internazionale adottato in questi casi: la storia a dell’Is insegna che chi decide di abbandonare le fila dello Stato islamico in molti casi paga con la vita. Il timore, adesso, è che il Califfato possa vendicarsi con Meriem.
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