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Nicola Catenaro per il Corriere della Sera
«Non so e non voglio sapere cosa stanno facendo gli investigatori, ma so che stanno lavorando bene. Prenderanno chi ha ucciso Ale. Questo è il mio unico progetto di vita oggi». Laura Lamaletto parla quasi tra sé mentre guarda la foto dei suoi primi tre figli quando erano bambini. Una foto che li ritrae sulla spiaggia, sorridenti e con gli occhi socchiusi per difendersi dal sole. Alessandro Neri, il più piccolo dei maschi, è al centro.
Uno sguardo dolce e sereno. Quello che aveva conservato anche crescendo. Avrebbe compiuto 29 anni a fine mese. La sua morte, a tre giorni del ritrovamento del corpo in un canale del torrente Vallelunga, alla periferia di Pescara, è un mistero.
Anche se elementi importanti per ricostruire i fatti sarebbero emersi dall' autopsia effettuata ieri sul ragazzo ucciso da un colpo di arma da fuoco.
«Gli amici lo chiamavano "Nerino ehi mà", sia perché era l' ultimo dei miei figli sia per la sua abitudine di non staccarsi mai da me, di dirmi sempre dove andava - racconta Laura -, e nell' ultimo ricordo che ho di lui mi dice: ciao mammina, io esco, ma non so se torno a cena. Ci siamo abbracciati. È stata l' ultima volta che l' ho visto».
Nella grande cucina in stile americano, con l' isola e il tavolo al centro e i ricordi variopinti del Venezuela di cui la donna è originaria, ci sono altre foto di quel figlio che non c' è più, una più grande sistemata in una cornice che le hanno appena portato gli amici. «Una cinquantina di ragazzi che da martedì sono qui a darci conforto e ad aiutarci - spiega mamma Laura -. Ale ne sarebbe fiero. Lui era un condottiero, irruento a volte, ma allo stesso tempo pacifico e buono. Ed era anche generoso. Oggi mi hanno raccontato che regalò la sua bici fatta su misura a un amico malato di Sla solo perché a lui piaceva. E l' anno dopo lo portò con sé ad Amsterdam pagandogli il viaggio. Era fatto così».
Un ragazzo apparentemente senza problemi, a differenza di molti suoi coetanei poco «social» e allergico al mondo digitale. Non aveva un profilo Facebook, non possedeva un pc, usava raramente il telefono. Non lavorava più nell' azienda vitivinicola di famiglia «Il Feuduccio» (passata di gestione a un cugino), ma continuava a stare nella casa dei genitori, in via Londra, a Spoltore. «All' inizio, quando è scomparso, ho pensato che avesse bisogno di stare un po' da solo - ricorda la mamma - anche se era difficile pensarlo. Lui era il mio angelo custode, si occupava continuamente di me». All' ingresso della villetta, dove in mattinata è proseguito l' andirivieni di amici e parenti, campeggia ancora la scritta «Questa è casa di Ale!» sistemata nei giorni scorsi da Laura. Per un momento, al cancello, si affaccia il marito Paolo, orafo a Firenze. Saluta il comandante dei carabinieri, con cui è stato a colloquio quasi due ore insieme con la moglie.
Si analizzano i tabulati per scoprire l' ultima telefonata partita lunedì sera dal cellulare di Alessandro, trovato ancora addosso a lui. Se è vero che pensava di non rientrare a casa, l' ipotesi è che avesse un appuntamento da confermare con una persona. Magari proprio l' assassino. O uno degli assassini. Una delle telecamere vicine al punto in cui mercoledì mattina qualcuno ha parcheggiato la Cinquecento di Alessandro potrebbe svelare addirittura un volto. C' è il massimo riserbo, ma le indagini, che tendono a scartare l' ipotesi della rapina (il portafogli non è stato trovato, ma Alessandro non lo portava quasi mai), potrebbero essere vicine a una svolta. Laura ne è quasi convinta. «Sì, ma l' assassino non ha agito da solo, mio figlio era alto uno e ottanta ed era un ragazzo robusto, come avrebbe potuto trasportarlo? Li prenderanno presto».
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