DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
arresto di donald trump immagine creata con l intelligenza artificiale di midjourney 4
1. TRUMP VERSO WASHINGTON, DA BEDMINSTER SI SPOSTA VERSO AEROPORTO
(ANSA) - Donald Trump ha lasciato la sua abitazione a Bedminster, in New Jersey, per recarsi all'aeroporto da dove, a bordo del suo aereo privato, raggiungerà Washington per l'udienza per la sua terza incriminazione. (ANSA).
2. TRUMP, MI SERVE UN'ALTRA INCRIMINAZIONE PER VINCERE
(ANSA) - Donald Trump continua ad attaccare a poche ore dalla sua comparizione in tribunale a Washington. "Mi serve un'altra incriminazione per assicurarmi la vittoria", ha tuonato sul suo social media Truth. "Ora sto andando a Washington per essere arrestato per aver contestato un'elezione corrotta, truccata e rubata. E' un grande onore, mi arrestano per voi", ha proseguito il tycoon rivolgendosi ai suoi sostenitori.
3 .PERCHÉ LE INCRIMINAZIONI RAFFORZANO TRUMP
Estratto dell’articolo di Federico Rampini per www.corriere.it
DONALD TRUMP - COMIZIO CAPITOL HILL
Può la più antica democrazia del mondo morire nella noia, in una sorta di indifferenza generale? Mi riferisco allo spettacolo di un’America dove Donald Trump viene raggiunto praticamente da una nuova incriminazione a settimana, e con altrettanta regolarità si rafforza nei sondaggi. Il tutto avviene quasi tra gli sbadigli, in un’atmosfera che assomiglia a un senso di rassegnazione. Il pubblico mangia pop corn in sala mentre sul grande schermo viene proiettato uno schianto fra due convogli ferroviari, al rallentatore.
Neppure i democratici riescono veramente a eccitarsi davanti ad ogni nuova offensiva di magistrati contro l’ex presidente […]. In campo repubblicano i rivali di Trump sono sempre più deboli, e una ragione sta proprio nelle vicende giudiziarie: sono costretti a solidarizzare con lui, quindi lo ingigantiscono e rimpiccioliscono se stessi. In campo democratico c’è una sorta di inconfessabile nausea che circonda la ri-candidatura di Joe Biden. La maggioranza dei suoi elettori la subiscono, nella migliore delle ipotesi come un male minore, più spesso come un’assurdità contro cui non hanno alcun potere di ribellarsi.
[….] Dunque la prospettiva di una seconda presidenza Trump è reale: sarebbe forse perfino peggiore della prima, temo, sia per le nuove minacce che lancerebbe contro la democrazia Usa, sia per la possibile destabilizzazione delle alleanze internazionali in una fase di estrema tensione geopolitica.
[…] è quasi un miracolo quando appare una voce fuori dal coro, che prova a vedere la situazione sotto un’angolatura diversa. Oggi vi segnalo una di queste rare eccezioni. È un editoriale sul New York Times firmato da David Brooks, osservatore di raro equilibrio e lucidità.
arresto di donald trump immagine creata con l intelligenza artificiale di midjourney 3
Brooks è una grande firma del giornalismo americano. Viene da un passato conservatore, a volte votò repubblicano. Ha condannato inequivocabilmente Trump («sociopatico», lo ha definito più volte) e contro di lui ha appoggiato le candidature di Hillary Clinton e Joe Biden. Aveva anche fatto una dichiarazione di voto per Barack Obama. Insomma, pur essendo rimasto un moderato ha rotto ogni rapporto con i repubblicani trumpiani. Tuttavia fa uno sforzo per capire l’apparente mistero che sconcerta il mondo intero: l’irresistibile ascesa di Trump nei sondaggi. Vale la pena prestargli attenzione, se non vogliamo rifugiarci nel logoro stereotipo secondo cui mezza America è fascista, razzista e bigotta.
Brooks prende le mosse proprio da quest’ultimo stereotipo, quello che demonizza mezza America come una massa di incolti imbecilli reazionari (a cui bisognerebbe togliere il diritto di voto, in buona sostanza, riservando la democrazia agli illuminati). Ricorda come lo ha riformulato in maniera elegante e raffinata un autorevole studioso di scienze politiche (Marc Hetherington, intervistato da un altro editorialista del New York Times, Thomas B. Edsall).
[…] In questa versione alternativa, spiega Brooks, «noi» non siamo gli Eterni Buoni. In realtà siamo i cattivi. Quella che segue non è una teoria del complotto, al contrario è una storia ben nota, avvenuta alla luce del sole. Dovremmo conoscerla. Ha inizio negli anni Sessanta, quando i figli della classe operaia […] vanno a combattere e a morire in Vietnam; mentre i figli della borghesia ottengono il rinvio del servizio militare grazie agli studi universitari (così vuole la legge di quegli anni). I figli della classe operaia restano, malgrado tutto quel che subiscono, dei patrioti. I figli della borghesia che sono al sicuro a casa propria bruciano la bandiera americana nelle piazze e nei campus universitari, si costruiscono una «buona coscienza pacifista», e insultano i reduci di ritorno dal fronte. La spaccatura tra le due Americhe è già tutta lì.
Qualcosa di molto simile accade negli anni Settanta sul terreno razziale. Le élite privilegiate e illuminate decidono che non bastano le conquiste dei diritti civili, bisogna che gli afroamericani siano portati a livello dei bianchi mescolandoli nelle stesse scuole.
[…] E così via, di decennio in decennio, fino a costruire la meritocrazia come la conosciamo oggi. Dove, per esempio, nelle grandi università di élite un modo pressoché certo di essere ammessi è avere dei genitori della classe dirigente (che hanno frequentato quelle stesse università; oppure vi donano milioni); un altro modo è appartenere a minoranze etniche o sessuali. I perdenti sono sempre gli stessi: i figli dei bianchi che non hanno alcun titolo di studio o al massimo il diploma della secondaria superiore.
È un sistema intriso di valori progressisti e al tempo stesso profondamente iniquo. Dove i perdenti sono «cornuti e mazziati», diremmo noi. La classe operaia bianca si vede bloccate molte strade, negate molte opportunità, e per di più relegata nella categoria dei rozzi, ignoranti, razzisti. Un presidente come Obama, plurilaureato nella più élitaria delle università, è stato studiato dai linguisti per l’elevata frequenza statistica con cui nei discorsi usava l’aggettivo «smart»: che unisce il concetto di intelligente, brillante, moderno, avanzato. Designa ovviamente quelli come Obama, include generosamente chi lo vota. Gli altri? Stupidi.
Un passaggio prezioso nell’analisi di Brooks riguarda la nostra professione di giornalisti, e in particolare il «tempio» dell’informazione per il quale lavora lui, il New York Times. Un tempo, ricorda l’editorialista, c’erano ancora dei figli di operai nelle redazioni dei giornali americani. Oggi la redazione del New York Times è per oltre il 50% laureata nelle 29 facoltà più elitarie d’America, cioè atenei le cui rette costano fino a 70.000 dollari l’anno. E più questi giornalisti, gli intellettuali, gli opinionisti provengono da ambienti sociali privilegiati, più si «purificano» adottando ideologie ultra-progressiste che esaltano i diritti delle minoranze.
donald trump al ristorante versailles di miami
I privilegiati hanno saputo sempre ottenere delle politiche in difesa dei loro interessi: l’apertura delle frontiere alla Cina li ha arricchiti come consumatori o come risparmiatori mentre distruggeva lavoro operaio; l’apertura delle frontiere agli immigrati gli ha fornito manodopera a buon mercato mentre deprimeva i salari operai. I privilegiati decidono il gergo etnicamente e sessualmente corretto che li distingue come illuminati; i non-laureati «devono fare acrobazie per capire come cambiano le regole, e se qualcosa che potevano dire fino a cinque anni fa oggi li espone al licenziamento».
«Le istituzioni élitarie sono diventate sempre più di sinistra, in parte perché chi ci sta dentro vuol sentirsi dalla parte del giusto, mentre partecipa a sistemi che escludono e rigettano», osserva Brooks.
donald trump durante l assalto al congresso il video alla commissione d inchiesta 3
Conclude tornando al tema di attualità, cioè Trump. I non laureati si sentono sotto un’aggressione economica, politica e morale, e vedono in Trump un loro difensore contro i ceti laureati. Trump ha capito che per gli operai la minaccia non sono gli imprenditori bensì le élite professionali, i laureati delle professioni intellettuali. Per la base popolare le incriminazioni di Trump «sono un’episodio nelle guerre di classe tra élite professionali e lavoratori, un attacco condotto da avvocati e giuristi delle metropoli di sinistra che vogliono abbattere colui che gli tiene testa».
donald trump durante l assalto al congresso il video alla commissione d inchiesta 2
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