DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Pierpaolo Lio per il “Corriere della Sera”
«Mi ha guardato dritto negli occhi, e ho intuito che c'era qualcosa che non andava». È quello sguardo a convincere in qualche modo a intervenire il 30enne che passava da quella piccola via di Milano, a due passi dalla movida dei Navigli, di giorno affollata per il via vai di bocconiani, di notte deserta. All'inizio l'uomo tira dritto verso il portone di casa, fa salire la compagna, poi vince il dubbio. Si decide a tornare indietro, questioni di minuti: fa retromarcia, si avvicina, chiede se è tutto ok. L'aggressore prova ad allontanarlo: «Cosa vuoi, perché ti immischi?».
L'intervento dello sconosciuto permette però a una 20enne, studentessa fuorisede, di sfruttare l'attimo di distrazione, di divincolarsi dalla presa dell'aggressore che la schiaccia sul cofano dell'auto (che a quel punto s' allontana) e a interrompere la violenza sessuale. Sono da poco passate le 3 del mattino del 6 febbraio. La ragazza è in stato di choc. È in lacrime, prova a ricomporsi. La coppia la soccorre, avverte il 112 e la accompagna alla clinica Mangiagalli.
Qualche ora dopo, con i carabinieri del nucleo operativo della compagnia Duomo, riavvolge il nastro di quel lungo sabato sera. La cena in compagnia di tre amici in un locale con terrazza vista Duomo. La scelta di spostarsi verso zona Ticinese, nella stanza d'albergo presa in affitto da uno dei suoi amici di passaggio in città. Tra chiacchiere e alcol si fa notte. Arriva l'ora di fare ritorno a casa. Gli amici la accompagnano a una fermata dei mezzi pubblici in viale Bligny, poi si dividono. Sotto la pensilina c'è un signore che poco dopo s' allontana.
Il display segna mezz' ora d'attesa. Accende una sigaretta per ingannare il tempo. Un ragazzo s'avvicina. Le si rivolge in inglese: le chiede in prestito l'accendino, poi le chiede se vuole fumare una sigaretta insieme, poco più in là, dietro l'angolo, ai piedi del campus della Bocconi. Lei accetta, lo segue. Una telecamera in zona li inquadra per un istante: camminano fianco a fianco, lui l'abbraccia.
«Quando ho visto che non si fermava, che mi stava portando sempre più lontano dalla fermata, gli ho detto che non mi volevo allontanare, ma lui non m' ascoltava e mi strattonava». È l'inizio dell'incubo. Lui prova a baciarla. Lei si rifiuta, si gira. Lui non si ferma: la afferra per la vita, la spinge sul cofano dell'auto, la violenta. Lo stupro è interrotto da quel passante che ne aveva incrociato poco primo lo sguardo e s'era insospettito, e che lo affronta.
E sarà sempre lui a fornire una descrizione accurata dell'aggressore agli investigatori, guidati dal capitano Gabriele Lombardo e coordinati dal pm Rosaria Stagnaro, che riescono a isolare l'impronta del palmo della mano destra sulla carrozzeria della vettura. Un altro elemento arriva dal cellulare della ragazza. Non si trova più. L'ultima cella agganciata è a qualche centinaio di metri, in via Borsi.
Durante gli appostamenti in zona i carabinieri riescono a individuare l'aggressore: è vestito ancora come quella notte. La sua foto viene riconosciuta dalla vittima e dal testimone. È il 29enne marocchino Youssef Safieddine, irregolare, senza fissa dimora, una sfilza di alias, un precedente di polizia per ricettazione. Per il sistema anche l'impronta della mano combacia.
A questo punto iniziano le ricerche. L'ultimo controllo lo registrava un anno fa allo Stadera, quartiere alla periferia sud, in una soffitta in cui viveva con altri connazionali. Lo fermano venerdì nel parchetto vicino. «Non violenterei né ucciderei mai nessuno», è stata la sua difesa ieri davanti al gip Alessandra Cecchelli, che ha convalidato il fermo.
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