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LE MODA LESBICA? NON SOLO DONNE VESTITE DA MASCHIO - ELEANOR MEDHURST ESPLORA L’EVOLUZIONE DELLA MODA LESBICA NEL LIBRO “UNSUITABLE. A HISTORY OF LESBIAN FASHION”: PARTENDO DAI RIFERIMENTI AL VIOLA DELLA POETESSA GRECA SAFFO PER ARRIVARE A ANNE LISTER, IMPRENDITRICE DEL XVIII SECOLO, CHE AVEVA RIVOLUZIONATO IL SUO ARMADIO VIRANDO SUL TOTAL BLACK – A FARE STORIA CRISTINA, REGINA DI SVEZIA, CHE SOPRA LE GONNE INDOSSAVA CAMICIONI MASCHILI E GILET E…

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Estratto dell'articolo di Olga Campofreda per www.lastampa.it

 

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[…] Eleanor Medhurst – storica della moda e attivista lesbica presenta Unsuitable. A history of lesbian fashion (C. Hurst & Co), una ricerca sulle diverse esperienze di stile nella comunità lesbica attraverso i secoli.

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Capelli lunghi color rosa Barbie e t-shirt a righe arcobaleno, Eleanor Medhurst si connette su Zoom per parlare del suo libro uscito da poco in Inghilterra, sullo sfondo se ne intravede qualche copia dall’inconfondibile dorso pink e viola. «Il rosa porta con sé un sacco di storia», spiega la studiosa. «È un colore a cui è associata la femminilità e indossarlo con consapevolezza diventa una provocazione: come lesbica dichiarata me ne servo per portare attenzione sulla falsità di certi stereotipi». Il viola, invece, è stato caricato di significato a partire dalla poetessa greca Saffo, che nel Frammento 94 aveva descritto giovani donne vestite di tuniche con ghirlande di violette tra i capelli.

 

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E proprio i Frammenti di Saffo sono il punto di partenza di un lavoro che ambisce a fornire una presentazione sistematica della moda lesbica attraverso i secoli […] «Le lesbiche si trovano nell’intersezione tra storia queer e storia delle donne. In entrambi i contesti hanno una rappresentazione marginale. In alcuni casi è stato così anche in politica: nel 1921 nel Regno Unito era stata suggerita una legge contro l’omosessualità femminile, poi si decise di non portarla avanti, ma solo perché avrebbe potuto informare le donne di questa possibilità, come se si trattasse di una pratica e non di un’identità».

 

Il racconto di Medhurst non procede in modo lineare: sono fenomeni emersi in spazi e tempi diversi, spesso soppressi dall’alto, eppure legati tutti da un filo rosso. La moda lesbica si definisce attraverso i secoli come qualcosa che si posiziona tra le crepe di ciò che è considerato femminile o maschile. «[…] anche se non ci siamo mai del tutto sentite rappresentate dalla cultura dominante, abbiamo sempre trovato modi diversi per esprimerci con gli strumenti che avevamo a disposizione».

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Come nel caso di Anne Lister, imprenditrice lesbica nell’Inghilterra del XVIII secolo, che ha lasciato nei suoi diari moltissimi commenti relativi alle sue scelte di stile. Lister era famosa per non aderire all’idea di femminilità del suo tempo e la sua identità si esprimeva in modo liminare, rifiutando il colore per fare spazio a un guardaroba completamente nero, come quello dei gentlemen inglesi.

 

Oppure come Cristina, regina di Svezia, anche conosciuta come la ragazzina Re. Nata nel 1624, appena ventenne era succeduta al padre adottando il titolo di Re per tutti i dieci anni del suo regno, fino all’abdicazione, giustificata dalla volontà di non sposarsi. […] era solita indossare, sopra le gonne, camicioni maschili e gilet che poco avevano a che fare con i corsetti delle dame dell’epoca, poi completava il tutto con parrucche maschili e cappelli.

 

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[…] «Gli anni Venti del Novecento sono stati un momento molto felice soprattutto grazie a British Vogue, guidato dal 1922 al 1926 da Dorothy Todd e Madge Garland, una grandiosa rappresentazione di lesbiche al vertice della moda. Il loro lavoro creò una vera e propria comunità di artiste queer e scrittrici, tra le quali si contano anche Virginia Woolf e Vita Sackville-West. Insieme formarono il gusto europeo per il modernismo. Fa ancora un certo effe tto oggi pensare a due lesbiche con una posizione così prominente nella moda, uno spazio molto più spesso ricoperto da uomini gay».

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L’esperienza di Todd e Garland ricorda quella fiorita in Giappone pochi anni prima intorno alla rivista femminista Seit? diretta da un’altra coppia lesbica, Hiratsuka Raich? e Otake Kickichi. Il loro utilizzo dell’hakama in luogo del più femminile kimono, esternava il loro rifiuto a rientrare forzatamente nei ruoli di mogli e di madri.

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