DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
Monica Serra per "la Stampa"
Le vittime sono molte. E Antonio Di Fazio non agiva da solo. Ci sarebbe tutta una «rete» di collaboratori e complici che, più o meno consapevolmente, si agitava attorno al «moderno Barbablù» finito in carcere con l' accusa di violenza sessuale aggravata, lesioni e sequestro di persona. E, quel che è peggio, c' è il timore che non fosse l' unico «collezionista" seriale di "donne trofeo». Di certo per i magistrati lui era pericoloso, molto pericoloso.
Seppur all' apparenza un millantatore, per anni, tra pistole giocattolo, lampeggianti delle forze di polizia e finti tesserini dei servizi segreti, è riuscito a terrorizzare le sue vittime, tutte giovanissime. Magari anche grazie ad alcune amicizie legate alla criminalità, su cui ora indagano i carabinieri.
Nessuna delle giovani, tra la paura e le benzodiazepine in grado di offuscare i ricordi degli abusi, in passato aveva osato denunciarlo. Una storia dell' orrore che non si sa da quanto tempo vada avanti. Perché gli accertamenti in corso su cellulari e computer del cinquantenne stanno portando alla luce immagini terribili e inquietanti di ragazze senza un nome. Di cui, in alcune foto, non si vede neanche il volto.
Abusi brutali su corpi inermi, di giovani narcotizzate e violate, spesso proprio nell'appartamento di 210 metri quadrati in zona Sempione che il cinquantenne divideva con l'anziana madre. Come le prime tre ragazze che, dopo aver risposto all' appello dei pm, ieri sono state sentite fino alle otto sera al quarto piano del palazzo di giustizia di Milano. Jeans, maglietta, scarpe da tennis: tutte ventenni, studentesse universitarie, dalla faccia pulita che hanno fatto fatica anche a parlare, a raccontare.
Tutte «adescate» dall' imprenditore cinquantenne seguendo un modus operandi sempre uguale, con l'offerta di opportunità di lavoro o di stage. Proprio come la studentessa di 21 anni della Bocconi che, la sera del 26 marzo, è stata «avvelenata» con le benzodiazepine, fotografata e abusata. E si è risvegliata il giorno dopo a casa sua talmente stordita da non ricordare, all' inizio, che cosa le fosse capitato.
Profili simili tra loro. Giovani donne che in più di un caso sarebbero state contattate attraverso i profili social da collaboratori di Di Fazio con offerte di tirocinio, possibilità di un futuro che, subito, si sono trasformate in un incubo. E che ieri sono state costrette a rivedersi in quegli scatti «sconvolgenti» che Di Fazio ha conservato per anni, criptati sulle memorie del suo computer.
Se nel tempo li abbia tenuti per sé o scambiati con altri, le indagini condotte dai carabinieri di Porta Monforte, e ora anche del Nucleo investigativo del Comando provinciale, non sono ancora riusciti a stabilirlo. Ma il fronte dell'inchiesta coordinata dal pm Alessia Menegazzo e dall' aggiunto Letizia Mannella si sta allargando sempre di più. E le chiamate ai carabinieri col passare delle ore si stanno moltiplicando. Anche se in diversi casi le ragazze si vergognerebbero al punto da non trovare la forza di parlare, di spiegare. Tra l'altro, il ritmo a cui stanno viaggiando le indagini dimostra che, a breve, potrebbero arrivare altri colpi di scena.
Davanti a così gravi accuse, il cinquantenne interrogato nel pomeriggio dal giudice Chiara Valori si è avvalso della facoltà di non rispondere. Significative anche le parole del suo difensore, l' avvocato Rocco Romellano, che ora potrebbe puntare a una perizia psichiatrica. Di Fazio, ha spiegato, «non sta bene, è molto confuso e provato. Personalmente, l' ho sempre conosciuto come una persona cordiale, onesta e tranquilla. Ma non posso sapere se avesse una doppia vita». Del resto «le accuse contro di lui sono molto gravi».
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