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MUORE UNA RAGAZZA IVORIANA DI 25 ANNI, RIVOLTA DEI MIGRANTI NEL CENTRO DI CONA (VENEZIA): MOBILI DATI ALLE FIAMME, TRENTA OPERATORI TENUTI OSTAGGIO PER 7 ORE - I PROFUGHI LAMENTANO RITARDI NEI SOCCORSI, E LE PESSIME CONDIZIONI DI VITA NELLA STRUTTURA. NEL CUORE DELLA NOTTE, I CARABINIERI SONO RIUSCITI A LIBERARE IL PERSONALE - ''NON CE LA FACEVAMO PIÙ, ERAVAMO STANCHI E AVEVAMO FREDDO, NON SAPEVAMO SE SAREMMO RIUSCITI A TORNARE A CASA O SE CI AVREBBERO TENUTO QUI'', DICE UN DIPENDENTE

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Davide Tamiello per il ''Corriere del Veneto''

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L’auto arriva, si ferma allo stop, il finestrino si abbassa. Una ragazza guarda il cordone di poliziotti e carabinieri fuori dalla base di Conetta di Cona e dice solo poche parole prima di ripartire: «Lì dentro ci sono 50 mila ragazzi!» Come a dire: forse se protestano ci sarà un motivo. Non c’è rabbia nella sua voce, non quantomeno confronti di chi l’ha costretta a rimanere chiusa in un container fino a notte fonda.

 

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Perché quella protesta, questa volta, ha visto coinvolta anche lei e (almeno) una trentina di altri dipendenti della cooperativa Ecofficina, ma dall’altra parte della barricata. I lavoratori della cooperativa sono infatti rimasti «prigionieri» per ore all’interno dell’ex base missilistica occupata dai migranti che contestavano le condizioni di vita e di accoglienza. Troppo freddo e troppo poco spazio, una situazione di tensione latente letteralmente esplosa nel pomeriggio, con la notizia della morte di una giovane migrante, la 25enne ivoriana Sandrine Bakayoko, nell’area delle docce.

        

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Per ore sono rimasti chiusi, senza luce e al freddo, in uno dei container all’interno della struttura. All’1.27 di notte, dopo oltre 7 ore di assedio, il personale della cooperativa è potuto uscire e finalmente tornare a casa. I carabinieri di Venezia e di Chioggia, guidati dal comandante provinciale Claudio Lunardo che è rimasto sul posto insieme ai suoi uomini per tutta la notte, avevano consigliato al personale della cooperativa di rimanere all’interno della struttura per ragioni di sicurezza, visto che i migranti stavano bloccando l’uscita tra falò e muri umani. Grazie all’aiuto di un mediatore culturale, e a una estenuante trattativa, i manifestanti hanno accettato di aprire un varco per lasciar passare le auto. «Non voglio dire niente, voglio solo tornare a casa adesso», dice un ragazzo.

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«Non ce la facevamo più – commenta qualcun altro – eravamo stanchi e avevamo freddo, non sapevamo se saremmo riusciti a tornare a casa o se ci avrebbero fatto dormire qui». La contestazione si è chiusa, ma le conseguenze non si faranno attendere. Da capire se, a questo punto, la polizia e i carabinieri decideranno di prendere dei provvedimenti nei confronti degli organizzatori della protesta.

 

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Due settimane fa, a Malcontenta, un gruppetto di migranti aveva inscenato un presidio di protesta creando alcuni disagi al traffico, dopo aver alzato la voce contro alcuni addetti all’accoglienza. La Prefettura di Venezia aveva emesso 15 provvedimenti: a 5 migranti era stata revocata la qualifica di partecipante al progetto d’accoglienza, 10 invece erano stati diffidati con il rischio di revoca in caso di reiterazione. Non è da escludere, quindi, la possibilità che per i responsabili della rivolta di Cona possa essere utilizzato lo stesso metro di giudizio.

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